"... l'inconscio ci comunica coi sogni
frammenti di verità sepolte.
Quando fui donna o prete di campagna,
un mercenario o un padre di famiglia..."
Franco Battiato, Caffè de la Paix, 1993
I
(Registrato a Cracovia, mercoledì 6 giugno alle 5.30 di mattina)
Un amico - che identifico come tale, pur non sapendo chi sia - mi dice di avere comprato un appartamento vuoto accanto al mio. Forse quest'amico sono io stesso o io mi trasformo in lui nel sogno: non saprei dirlo. C'è una donna, che avverto molto vicina a me: è mia madre oppure mia moglie. E' un medico. In questo grande appartamento sono in una sala e sento i pazienti che entrano l'uno dopo l'altro per andare da lei. Scopro che la donna del sogno è, in realtà, la madre di F. Parlo con lei, che mi dice - o mi fa capire - di essere incinta. La cosa mi stupisce, perché F. mi ha detto che lei, in realtà, voleva adottarlo, un bambino. Quando il giorno dopo lo vedo - e lui, nel sogno, non esercita la sua professione reale, ma lavora in una libreria - non mi dice più nulla. A un certo punto, però, l'argomento salta fuori e lui mi spiega che la madre è rimasta incinta dopo vari tentativi, e mi lascia intendere che non avrebbe più adottato un figlio: tre - incluso quello che deve venire - sono sufficienti. Aggiunge poi che, grazie a questo nascituro, anche lui potrà tornare a casa. Anche questa cosa mi stupisce, perché nel sogno non sapevo che se ne fosse andato di casa (e infatti, nella realtà, non se ne è andato). Lui accenna di sì, ma casa sua è una situazione provvisoria ed è ancora vuota: del resto, mi rimprovera, avrei saputo che aveva messo su casa se mi fossi fatto vivo io qualche volta e non sempre lui. Resto esterrefatto per l'ennesima volta pensando - ma non dicendo -: "Ma se mi faccio sempre vivo solo io!"
II
(Registrato a Milano, domenica 17 giugno)
Devo fare il servizio militare. Siamo in due, io e M.S. - con cui ho avuto una relazione durata cinque anni e mezzo -, però io arrivo per primo in "caserma". In realtà è una specie di dimora di piccole dimensioni. C'è un solo superiore, un graduato che non so distinguere e che mi dà dei manuali da leggere per prepararmi al servizio militare. Io cerco di ambientarmi un po', leggo i manuali e quando il superiore torna gli dico di averli letti. Lui è incredulo - non li legge mai nessuno - e quindi m'interroga per accertarsi che non stia mentendo. Mi chiede, per esempio, a quale teleromanzo partecipi una certa attrice tedesca (che non esiste in realtà): è una delle informazioni contenute in questi manuali. Io gli rispondo: "Gute Zeiten, schlechte Zeiten" (Bei tempi, brutti tempi) - che è un teleromanzo realmente in onda alla televisione tedesca.
A questo punto arriva anche M.S., che comincia subito a lamentarsi e a protestare - in modo molto animato - dicendomi di essersi informato e di sapere bene quali siano i suoi diritti, mi urla che si sarebbe ribellato e non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa. E aggiunge: "Ne ho parlato anche con il mio dentista".
Il sogno si conclude con il ritorno del superiore e con una sorta di "triangolazione". Mi dà una brocca con il manico completamente spezzato - non posso fare a meno di pensare a "Der zerbrochene Krug" di Heinrich von Kleist - che deve essere reincollato. Mi dice di darlo a un maggiordomo-factotum affinché la ripari. Io obbedisco, ma quando la consegno al maggiordomo, quest'ultimo mi rimprovera spiegandomi che un'altra volta avrei dovuto chiamare "Ola" - una cameriera - e darla a lei, la quale, a sua volta, l'avrebbe consegnata a lui. Ma io non dovevo darla direttamente a lui.
(Appena sveglio ho pensato subito a tre cose: il sogno traduce la mia paura dell'autorità e il mio timore nei confronti dell'arbitrio con cui esercita il suo potere su di me; il mio senso di impotenza a cambiare uno stato di cose che non riesco a spiegarmi; lo scandalo dell'essere gettato in una situazione che non desidero, ma che nemmeno riesco a controllare).
III
(Registrato a Milano, martedì 19 giugno)
Vado a casa di F., che pure non ho mai visto nella realtà. E' una specie di villetta. Entro - la porta è aperta -, dopo aver gironzolato un po' fuori, timoroso e incerto. Lui, prima, non mi ha risposto al telefono anche se io so che è in casa. Quando sono dentro perdo subito l'orientamento e incontro i suoi genitori, che stanno uscendo. Sono sorridenti, ma con un sorriso un po' assente e, a dire il vero, anche ebete. Sembrano non notarmi, anche se io li saluto dicendo loro: "Buongiorno, sono Stefano" - e dando per scontato che mi conoscano. Nel sogno suo padre ha capelli bianchi e una barba abbastanza curata: assomiglia a Cesare Rimini, il noto avvocato divorzista. Poi vedo una ragazza che parla al telefono: è sua sorella (ma nella realtà lui non ha sorelle), ma anche lei m'ignora.
Infine ritrovo la strada e arrivo alla sua stanza. Socchiudo la porta e lo vedo danzare, a torso nudo, con movimenti inconsulti, al ritmo di una musica che esce da una radio portatile, dal design molto anni '70, posata per terra. Intanto, mentre balla, sta facendo (o disfacendo) una grossa valigia. Ha la testa infilata nella manica di un maglione o di una maglietta, che fa l'effetto di un velo da suora. Gli chiedo se sta facendo le valigie, ma lui non sente la mia voce né mi nota. Sembra ballare a occhi chiusi, perso in un altrove a cui io non ho accesso. Ma allo stesso tempo a me pare di avere parlato a voce troppo bassa. Ripeto la domanda, ma la voce è ancora troppo bassa.
Il sogno finisce, ma appena mi sveglio mi rendo conto che l'immagine di lui mi era molto familiare perché si era sovrapposta - fino a confondersi - a quella di P.C., il mio più caro amico d'infanzia, ormai perso di vista. E anche la villetta in cui abitava era molto simile a quella di P.C.
(Caratteristica principale - e manifesta - del sogno è che io non vengo notato da nessuno, come se fossi trasparente. Il sogno avviene il giorno dopo essere stato "respinto" da E.)