Ieri era la giornata internazionale contro l'omofobia e io me l'ero completamente dimenticato, finché non me l'ha ricordato - con un sms - A. E proprio ieri, lui è passato da me e mi ha sbattuto davanti metro, il quotidiano distribuito gratuitamente in città, con la notizia dell'aggressione subìta da Paolo Ferigo, il presidente dell'Arcigay milanese. All'uscita di un ristorante in via Cadore Ferigo è stato picchiato da due operai dell'Atm che, del resto, avevano passato tutta la serata a sfottere lui e i suoi amici che, a un tavolo vicino, discutevano dell'organizzazione del Gay Pride a Roma. A quanto pare, i ristoratori non hanno chiamato soccorsi e gli altri avventori non hanno mosso dito. Ho pensato: "Che bel modo di celebrare la giornata dell'omofobia! Sembra quasi un'esemplificazione pratica". Poi io e lui siamo usciti e, in un bar, abbiamo sfogliato il Corriere della Sera che - nel dorso milanese - non faceva cenno a questa notizia. Quello stesso Corriere che, invece, dava risalto alla predica di Betori a Gubbio o che, qualche giorno prima, ha pubblicato un'intervista a Ombretta Colli, firmata tra l'altro da un giornalista il cui fratello è gay e convive da anni con lo stesso uomo e che quindi avrebbe potuto cantargliele di santa ragione alla soubrette forzitaliota.
L'episodio di Ferigo potrebbe essere interpretato in modo riduttivo: gli imbecilli ci sono ovunque e lui, ahimè, è incappato in due di loro. Nulla però mi toglie dalla testa che se questi imbecilli ci sono ancora e possono agire quasi impunemente - perché non mi si dica che una sospensione (di quanto?) dal lavoro è una vera punizione - è perché in Italia si è sviluppato in clima a loro favorevole. L'omofobia, insomma, è all'ultima moda e si porta, come un abito di stagione. Il punto è che questa omofobia è alimentata proprio da chi invece, avendo responsabilità pubbliche o istituzionali, dovrebbe combatterla. Invece di promuovere campagne di sensibilizzazione, invece di favorire l'integrazione e, lo dico anche a costo di alienarmi le simpatie di coloro che vedono nell'omosessualità il simbolo di una ribellione allo status quo borghese, la "normalizzazione" dei gay, preferiscono seminare l'odio e coltivare antichi pregiudizi. La chiesa cattolica spicca nell'uso di questa strategia e lo fa, oltretutto, in modo vigliacco, cioè nascondendo la mano e non chiamando nemmeno le cose con il loro nome: rivendicano per sé il diritto di essere omofobi senza essere però definiti tali, rivendicano il diritto di schiaffeggiare i gay senza che però questi reagiscano. Basta leggere le perle di odio che sono uscite dalla bocca dei vari prelati, raccolte dai radicali in questa pagina. (E non mi si dica qui che anche la chiesa cattolica è nel mirino dei "laicisti": noi gay, in quanto gruppo organizzato, non siamo sovvenzionati dallo stato, con i soldi di tutti i cittadini italiani, per insultare altre categorie di cittadini). E passi per la chiesa cattolica, che fa il suo sporco mestiere, ma è scandaloso che chi deve rappresentare tutti i cittadini si sottragga al dovere civile di scoraggiare l'omofobia.
Per questo non mi sembra giusto sottovalutare quello che è accaduto a Paolo Ferigo. Si inscrive, infatti, in una serie di episodi che ultimamente si stanno inanellando e si succedono con sempre maggiore frequenza, non a caso in concomitanza con l'attacco clerical-fascista ai diritti delle persone omosessuali e con le dichiarazioni fascisteggianti - anche da parte di politici che appartengono al centrosinistra o al nascente Partito Democratico - sull'indegnità delle unioni omosessuali - perché non volerne riconoscere l'importanza in quanto impegno pubblico significa, di fatto, credere che l'amore tra due uomini o tra due donne è di minore valore rispetto a quello eterosessuale - o sulla presunta "devianza" o "innaturalità" o "anormalità" dell'omosessualità. La violenza contro l'adolescente torinese che si è poi suicidato - violenza derubricata a mero "bullismo" per scaricare la coscienza di chi, insegnanti per primi, ha preferito chiudere entrambi gli occhi - o l'aggressione al giovane romano picchiato fuori da una discoteca per aver detto a quattro ragazzi suoi coetanei che erano "carini" ne sono altri sintomi e, io credo, sono solo la punta dell'iceberg. Sotto la superficie dell'acqua c'è un'omofobia "ambientale" che non conosce però l'onore della cronaca. Se chi ha responsabilità pubbliche non agisce per sciogliere questo iceberg è, quanto meno, colpevole di ignavia e di "omissione di soccorso". Traccheggiare o fare un passo avanti e due indietro - come fanno il Partito Democratico e Fassino - non è espressione di maggiore nobiltà rispetto a chi fa esplicite dichiarazioni piene di rivoltante omofobia (e mi riferisco, per esempio, ai vari Calderoli e Prosperini).
Se non si disinnesca il meccanismo per cui ancora oggi qualcuno considera l' "omosessualità" un fatto scandaloso, colpendola con lo stigma della disapprovazione e non, come è, una delle normali forme in cui si esprimono l'attrazione e l'amore tra due esseri umani, e se chi potrebbe farlo - perché ne ha il potere o i mezzi - preferisce invece rinforzare proprio quel meccanismo, ci saranno sempre degli episodi di omofobia. E gli omofobi si sentiranno "autorizzati" ad agire come agiscono: mi raccontava oggi qualcuno con cui chiacchiero spesso in rete che proprio ieri, mentre era in treno per venire a Milano, è stato insultato da un paio di ragazzi, che gli lanciavano domande come: "Ma porti anche le mutandine rosa?" oppure: "Ce lo fai un pompino?". Io trovo scandaloso che, in queste circostanze, nessuno intervenga e che costoro trovino accettabile offendere così una persona solo perché, magari, è un po' effeminato. (E, aggiungo, questi due ragazzi non erano adolescenti brufolosi, ma avevano diciotto-vent'anni: un'età in cui, in altri paesi europei, si è già più maturi). Sicuramente una cosa possiamo farla noi gay: non nasconderci, non nascondere la nostra omosessualità, mostrarci sempre come siamo, non tacere mai. Alla fine la gente si abitua a tutto ed è meglio che si abitui a noi, che non facciamo nulla di male, prima che si abitui a considerare "normale" l'odio contro gli omosessuali.