Qualcuno in Italia ricorda il caso di Jürgen Möllemann? No, forse non lo ricorda nessuno e probabilmente non lo ricorderei nemmeno io, se non si fosse depositato in fondo alla mia memoria perché allora ero di passaggio in Germania. Però in questi giorni mi si è affacciato di nuovo alla mente, anche se ho dovuto fare qualche ricerca per rinfrescare i miei ricordi.
Nel 2002, poco prima delle elezioni parlamentari, Jürgen Möllemann, esponente della FDP - il partito liberale tedesco -, criticò pesantamente la politica di Ariel Sharon fino a esprimere una certa simpatia per gli attentati suicidi dei terroristi palestinesi. Ma non si limitò a questo e fece entrare nella frazione dell'FDP del Nordreno-Westfalia un ex verde, Jamal Karsli, di origine siriana, il quale a sua volta aveva parlato di "lobby sionistica". Il consiglio centrale degli ebrei di Germania si oppose alle parole di Möllemann che, non contento dei danni già fatti, rincarò la dose sostenendo che se in Germania l'antisemitismo era di nuovo in ascesa la colpa era di Sharon e di Michel Friedman, l'allora vicepresidente del consiglio centrale degli ebrei di Germania. Come finì la faccenda? Jürgen Möllemann fu duramente criticato dal suo partito e, prima che potesse essere espulso - perché questa era la misura che s'intendeva prendere contro di lui -, diede le dimissioni nel marzo 2003. Inutile aggiungere che anche Karsli fu espulso dalla frazione regionale dell'FDP.
Che cosa insegna questo episodio e perché ha a che fare con l'Italia di oggi? Innanzitutto insegna che una democrazia matura non può tollerare che occupi posizioni istituzionali e di responsabilità chi si fa megafono di pregiudizi a danno di una minoranza che in passato è stata fortemente discriminata e perseguitata proprio a causa di quegli stessi pregiudizi. Ma non è soltanto questo il punto. L'episodio di Jürgen Möllemann, infatti, dimostra che in una democrazia ben funzionante non occorre l'intervento di un'istanza giudiziaria, ma è sufficiente il senso di responsabilità e di maturità politica dell'organizzazione a cui appartiene colui che, come in questo caso, ha diffuso il veleno antisemita. La FDP non ha invocato la "libertà di espressione" per dare libero sfogo ai pregiudizi sedimentati nel ventre oscuro della Germania, ma ha preso provvedimenti.
E che cosa c'entra l'Italia di oggi? C'entra, c'entra. In Italia, oggi, c'è un'emergenza omofobia. Non l'avvertite? Forse non siete omosessuali e quindi siete in grado, come la salamandra, di guizzare attraverso tutti i fuochi e, come la salamandra, non vi incalza alcun fremito e non provate nessun dolore. Io no, io provo dolore, tanto più acuto quanto più raffinati sono i ragionamenti che pretenderebbero di dare fondamento ai pregiudizi omofobici, spacciati per una legittima divergenza di opinioni. Ma queste opinioni fanno la tara delle persecuzioni che hanno fomentato e alimentato in un passato prossimo che in Occidente si è concluso - si spera per sempre - nemmeno una trentina d'anni fa.
Ecco perché sarebbe compito di tutti coloro che si ritengono democratici - e rispettosi, ancor più che delle minoranze in senso astratto, della sofferenza che è stata provocata loro in nome di una certa idea di natura e di normalità - isolare chi, ancora oggi, incendia vecchi pregiudizi con nuovo carburante. Non è più una questione di essere "di sinistra" o "di destra": è questione di decenza. Come nel caso di Jürgen Möllemann, io mi aspetto che un ex ministro che insinua l'esistenza di un complotto omosessuale, idea ancor più offensiva del termine usato, "ricchioni", venga espulso dal suo partito. Io mi aspetto che, quando un esponente di primo piano di un partito che ha avuto responsabilità di governo bercia di "culattoni" che vogliono il matrimonio "basato sul sesso", costui venga rimosso da ogni posizione pubblica. Me lo aspetto non perché sono un censore, ma perché lo ritengo un atto dovuto - il minimo sindacale di decenza pubblica - nei confronti di chi in passato e, in alcuni casi, ancora oggi ha pagato anche con la propria vita a causa di quei pregiudizi. Però il fatto che, finora, in Italia non vi sia stato un caso Möllemann la dice lunga sulla maturità democratica del nostro paese.