Dire che con l'impiccagione di Saddam Hussein si è regalato un martire al terrorismo - e presupporre quindi che questo avrà nuova linfa per diffondersi - significa innanzitutto fare un'illazione non dimostrata e non dimostrabile. Potrebbe anche darsi - e anche questa è un'illazione che ha pari valore - che se invece lo si fosse tenuto in vita i suoi sostenitori avrebbero interpretato questo fatto come un segno di debolezza da parte del nuovo governo iracheno, traendo da qui nuova linfa e ispirazione per una futura rinascita della dittatura baathista. Non è affatto detto, infatti, che, stupiti dalle nobili motivazioni di chi in Occidente ha criticato l'esecuzione, avrebbero modificato completamente la loro forma mentis interpretando come superiore saggezza quello che per loro, forse, è solo arrendevolezza. Una sospensione della pena, magari, poteva anche essere riletta da loro come una vittoria. Non sarebbe stato altrettanto pericoloso? In secondo luogo significa ignorare che i terroristi islamici - che si stanno dando un gran daffare in Iraq comunque - non sono a corto di pretesti per aumentare e intensificare le loro azioni barbariche: se Saddam non fosse stato impiccato, ne avrebbero comunque trovati altri. Da quando in qua si fanno degli scrupoli di oggettività, da quando in qua cercano argomenti verificabili razionalmente che spieghino e giustifichino le loro imprese? Se costoro hanno bisogno di martiri, i martiri li troveranno sempre e in ogni caso. E quando si uccide qualcuno che è un oggettivo pericolo - quando lo è ancora, cioè -, c'è sempre qualcuno, in Occidente, che è più solerte a piangere lui che non le sue vittime passate e quelle probabili future: penso, per esempio, alla sacrosanta eliminazione del terrorista Yassin. Qualcuno, ho letto, trova barbaro che Saddam sia stato ucciso a freddo, proprio ora. Be', io sono certo che se l'avesso fatto fuori "a caldo" gli americani con una pallottola in testa quando lo tirarono fuori dal buco in cui si era sepolto - sì, sono tutti eroi dal cuore di coniglio, i tiranni, quando arriva la resa dei conti -, qualcuno avrebbe protestato perché quell'uccisione avrebbe impedito un regolare processo. E se l'avessero ucciso ancora prima, quando era al potere e i danni li faceva davvero? Apriti cielo: come minimo si sarebbe gridato all'ingerenza in uno stato estero, arroganza unilaterale, imperialismo. In ogni caso è sbagliato dire che si è applicata la legge del taglione, facendo subire a Saddam la fine che lui imponeva ai suoi oppositori. Non è così: Saddam un processo l'ha avuto, e non si può dire lo stesso delle centinaia di migliaia di persone che lui ha fatto incarcerare, torturare e minacciare.
Leggendo le reazioni sui giornali o in rete, ho notato poi il solito rigurgito di antiamericanismo. Curioso è però il fatto che, stavolta, gli americani non c'entrano niente. Il processo è stato celebrato in una corte irachena, la condanna è avvenuta seguendo le leggi irachene, l'esecuzione è avvenuta in Iraq ed è stata parzialmente ripresa e trasmessa dalla televisione irachena. Bisogna davvero essere in malafede per dare al colpa ai soliti "americani cattivi", solo perché Bush ha detto che è stata fatta giustizia - e io non mi sento affatto di dargli torto. Per non parlare poi della paranoia che produce commenti del tipo: l'hanno ucciso (gli americani? Boh), perché se no, se restava vivo, chissà che cosa avrebbe detto, chissà quali intrighi, chissà quali macchinazioni... Già, ma se avesse voluto parlare - è stato fatto notare da qualcuno che ha scritto le cose più lucide che io abbia letto su tutta la faccenda -, finora avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. A questa stregua si potrebbe anche dire che la sua impiccagione torna molto utile a certi suoi amici europei, come Jacques Chirac, e seguendo questo metodo "paranoico-critico", si può tirare la conclusione che l'ha ammazzato lui per metterlo a tacere. Probabilmente, se fosse stato per gli Stati Uniti, sarebbe successo a Saddam Hussein quello che è successo a Milosevic, cioè niente. Forse sarebbe morto di morte naturale.
Inutile impancarsi a difensori dello stato di diritto e della civiltà occidentale perché si condanna l'esecuzione di Saddam Hussein e sorridere compiaciuti perché a ritenerla giusta c'è, in Italia, solo la Lega Nord (a meno che altri, intimiditi, preferiscano tacere - il che è comprensibile, visto il vespaio che altrimenti si solleva). A questo punto si potrebbe osservare che tra chi si è pronunciato contro l'impiccagione di Saddam c'è Jean-Marie Le Pen, il quale è scandalizzato soprattutto dal fatto che è stato destituito "quando erano quasi trent'anni che era alla guida del governo" e dichiara che questa è "una pena di morte contro le regole diritto" - lui, che è favorevole alla pena di morte in altri casi. Tra gli altri critici c'è anche Pino Rauti, che vanta i meriti dell'Msi per "aver evitato la guerra civile guidando i fascisti verso la politica".
Sul Giornale di ieri c'è un'intervista di Fausto Biloslavo con lo scrittore e giornalista iracheno Nejad Aziz Surme, direttore del giornale kurdo Xebat, che negli anni ottanta fu imprigionato e torturato senza accuse e racconta la sua esperienza di allora: "Ci picchiavano per due, tre ore consecutive al giorno e poi ci appendevano a dei ganci sulle pareti. C'era una stanza, dove ci costringevano a camminare, con il pavimento cosparso di chiodi e pezzi di vetro. Usavano torturarci, frequentemente con gli elettrodi ed alcuni miei compagni sono stati impiccati". Le "punizioni" avvenivano anche per le attività dei familiari all'estero: "Spesso venivamo chiamati dalla polizia politica perché i nostri familiari vivevano liberamente all'estero. Famiglie che conosciamo sono state per anni minacciate e tenute in ostaggio a causa dei loro cari riparati altrove". Quando il giornalista gli dice: "In Italia ci sono dei politici che fanno addirittura lo sciopero della fame per Saddam" Surme risponde: "Che Dio li aiuti. Mi fanno pena". Infine dà un'interpretazione delle conseguenze dell'impiccagione di Saddam Hussein che è esattamente l'opposto di quella corrente ma che è altrettanto giustificata e plausibile: "Dal punto di vista politico la sua esecuzione avrà delle conseguenze positive. L'eliminazione del tiranno farà voltare definitivamente pagina ai popoli dell'Irak. Anche per i suoi seguaci sarà un segnale che l'era Saddam è finita per sempre". Tenerlo in vita significava alimentare troppe speranze. Non verso nemmeno una lacrima per la sua morte e non credo affatto che sia stato sfregiato lo stato di diritto. Ammettere infatti la pena di morte per i dittatori equivale a dire che in un sistema democratico la pena di morte non esiste: infatti, se c'è un dittatore da giustiziare, è perché quel dittatore aveva abolito il sistema democratico. Se esiste un sistema democratico, invece, non c'è un dittatore, per definizione. La pena di morte per i dittatori, dunque, sarebbe il tipico caso di una pena che non verrebbe mai applicata in regime di democrazia.
Update: Da leggere interamente l'articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato ieri dal Giornale.