Letter to a Christian Nation è un agile volumetto in cui Sam Harris riprende i punti principali che aveva sviluppato in The End of Faith, ma in modo più conciso e diretto. Come se stesse scoccando delle frecce da un arco, Sam Harris snocciola i suoi argomenti contro la religione - e non soltanto quella cristiana - e, grazie al genere del pamphlet, questi possono essere usati da tutti i non credenti che, nel mondo moderno, si trovano sotto assedio e sono costretti a replicare alle accuse ingiustificate dei vari "teofori". Per aggiungere brio all'argomentazione, il libro è scritto come una lunga lettera rivolta ai cristiani d'America, ma il discorso si può facilmente estendere anche agli altri paesi.
Credere o non credere, essere seguaci o no di una religione non è indifferente: una scelta non vale l'altra, ma anzi Harris sostiene che le religioni non sono soltanto inutili, ma in molti casi sono anche pericolose. Essere atei non è un fenomeno tanto strano - anche se gli atei sono forse la minoranza più vituperata negli Stati Uniti - e anche i cristiani, sostiene l'autore, dovrebbero sapere che cosa significa, perché anche loro, in un certo senso, sono "atei" rispetto ad altre religioni, come l'islam: "Comprendete che il modo in cui voi vedete l'islam è esattamente lo stesso in cui i musulmani devoti vedono i cristiani. Ed è il modo in cui io vedo tutte le religioni.
Sam Harris contesta l'idea che la morale si fondi sulla religione, perché i cosiddetti testi sacri contengono troppe contraddizioni perché li si possa prendere sul serio. "Le questioni morali riguardano la felicità e la sofferenza. Ecco perché voi e io non abbiamo obblighi morali verso le rocce. Nella misura in cui le nostre azioni possono influenzare l'esperienza di altre creature in modo positivo o negativo, allora si applicano le questioni morali". Viceversa, nei secoli i credenti hanno tratto, dalla Bibbia, in modo selettivo certi princìpi e non altri, senza motivazioni razionali e soprattutto senza considerare gli effetti, spesso negativi, che avrebbero avuto sulla vita e sulla realtà delle persone.
Gli esempi si sprecano, ma quelli più evidenti si manifestano soprattutto nell'ambito della "morale sessuale", in cui gli insegnamenti della religione vanno non solo contro ogni buonsenso, ma spesso hanno anche conseguenze perniciose sulla salute delle persone. In questo caso si preferisce una morale astratta invece di rimediare concretamente alle sofferenze reali degli individui. Harris porta l'esempio del vaccino contro l'Hpv - il virus che causa i condilomi e che, a lungo andare, può provocare il tumore alla cervice -, osteggiato negli Usa dai conservatori cristiani perché "l'Hpv è un valido impedimento al sesso prematrimoniale". Lo stesso vale per il rifiuto di finanziare la ricerca sulle cellule staminali. Al riguardo Harris commenta, con amaro sarcasmo: "Se è la sofferenza in quest'universo a preoccuparvi, allora ammazzare una mosca dovrebbe presentare più difficoltà morali che non uccidere un blastocista umano", data la maggiore complessità cellulare e nervosa della prima. Accettare queste idee nel discorso pubblico significa adattarsi all'irrazionalità che si proclama fede ed è per questo che la fede non è soltanto falsa, ma anche pericolosa - oltre che priva di legittimità morale.
Stabilito dunque che non occorre che vi sia un dio né che vi sia una religione perché l'uomo faccia del bene, Sam Harris sostiene anzi che, molto spesso, usando il pretesto di dio, si compie il male: "I missionari nel mondo in via di sviluppo sprecano un sacco di tempo e denaro (...) facendo proselitismo ai bisognosi; diffondono informazioni inaccurate sulla contraccezione e sulle malattie a trasmissione sessuale e trattengono informazioni accurate". Un altro mito da sfatare è quello, quindi, secondo il quale gli atei sarebbero più immorali di chi crede in dio. Al contrario, è spesso la fede cieca a spingere alla violenza. Harris ricorda le insurrezioni e le incitazioni all'omicidio e alla vendetta delle masse islamiche durante lo "scandalo" delle vignette danesi, e poi chiede, ironicamente: "Quando ci sono state le ultime sommesse di atei? C'è, sulla faccia della terra, un giornale che esiterebbe a stampare delle vignette sull'ateismo per timore che i suoi redattori venissero rapiti o uccisi per ritorsione?". E aggiunge: "Non conosco nessuna società nella storia umana che abbia sofferto perché la sua gente era diventata troppo desiderosa di avere delle prove a sostegno delle proprie convinzioni fondamentali".
Come altri - e come me - Sam Harris avverte il disagio di doversi definire "ateo", cioè negativamente in rapporto a qualcos'altro: "L'ateismo non è una filosofia, non è nemmeno una concezione del mondo: è semplicemente un'ammissione dell'ovvio. In effetti 'ateismo' è un termine che non dovrebbe nemmeno esistere. Nessuno, infatti, ha bisogno di identificarsi come 'non astrologo' o 'non alchimista'". L'ateo altro non è che una persona la quale ritiene che chi dice di non dubitare mai dell'esistenza di dio dovrebbe sentirsi in obbligo di fornire delle prove di quest'esistenza (oltre che della sua presunta benevolenza, vista la distruzione di vite innocenti che avviene senza che dio intervenga).
Contro la fede cieca in princìpi non soltanto non dimostrabili, ma spesso completamente assurdi - come la transustanziazione, tanto per intenderci - Sam Harris perora invece il metodo scientifico, che non è affatto la caricatura che ne fanno i difensori della fede, visto che le teorie scientifiche sono tali proprio perché sottoposte a continue verifiche e successive modifiche. "Il successo della scienza avviene spesso a spese di un dogma religioso, mentre la conservazione di un dogma religioso avviene sempre a spese della scienza". All'accusa di arroganza che talvolta viene mossa agli scienziati, Harris replica: "Un cristiano medio, in una chiesa media, che ascolta una predica domenicale media, ha raggiunto un livello di arroganza semplicemente inimmaginabile nel discorso scientifico - e sì che ci sono stati anche scienziati straordinariamente arroganti!".
Che cos'è dunque davvero la fede religiosa? "E' ora che ammettiamo che la fede altro non è che la licenza che i fedeli si danno a vicenda per continuare a credere quando mancano le ragioni (...) La religione è l'unico ambito del nostro discorso in cui si considera nobile pretendere di essere sicuri di cose riguardo alle quali nessun essere umano potrebbe avere alcuna certezza". L'esatto contrario, insomma, del metodo dell'indagine scientifica.
Eppure c'è ancora chi non riesce sinceramente a rendersi conto che ci sono conflitti causati davvero dal fanatismo religioso e pensa che la soluzione sia quella della "tolleranza religiosa" (benché, certamente, questa sia meglio del fanatismo). Il fatto che qualcuno, pur avendo denaro e istruzione, si fa saltare per aria nella speranza di arrivare in un paradiso dove troverà settantadue vergini è qualcosa che sfugge alla coscienza dei laici. "I laici, i liberali e i moderati occidentali l'hanno capito con molta lentezza. La causa della loro perplessità è semplice: non sanno che cosa significhi credere davvero in dio". A questo si aggiunga il fatto che la correttezza politica e la paura del razzismo ha reso molti (europei) riluttanti a opporsi all'uso che gli estremisti fanno della religione proprio in mezzo a loro. Ecco perché è ancora più importante essere ragionevoli e svelare la religione per quello che è.
Naturalmente Letter to a Christian Nation è un libriccino di un centinaio di pagine e se gli si possono imputare dei limiti, questi sono dovuti al genere scelto - quello, appunto, del pamphlet impegnato, vigorosamente polemico, ma allo stesso tempo lucido e implacabile. Questi limiti, però, sono anche i suoi pregi. Per una disamina più approfondita e scientifica della questione religiosa e dell'ipotesi di dio, rimando invece a quest'altro libro, che sto leggendo ora e di cui scriverò non appena l'avrò terminato.
"Che cos'è dunque davvero la fede religiosa? "E' ora che ammettiamo che la fede altro non è che la licenza che i fedeli si danno a vicenda per continuare a credere quando mancano le ragioni (...) La religione è l'unico ambito del nostro discorso in cui si considera nobile pretendere di essere sicuri di cose riguardo alle quali nessun essere umano potrebbe avere alcuna certezza".
Non avrei saputo dir meglio.
Posted by: Matthäi | 28/11/2006 at 00:04
Ammiro molto il lavoro che fai per écrasez l'infâme… Sei davvero un illuminista, bravo. A margine di questa tua bella presentazione dell’ultimo libro di Harris ti segnalo un brillante e vivace testo appena pubblicato da Bompiani, “Babbo Natale, Gesù Adulto. In cosa crede chi crede?”, di Maurizio Ferraris, bravo filosofo italiano con interessi teorici decisamente “tecnici” (il suo ultimo campo di interessi è l’ontologia degli oggetti sociali e il ruolo che nell’istituzione degli oggetti sociali svolge la scrittura, ruolo indagato a partire da un originale interpretazione del pensiero di Derrida), ma che negli ultimi anni ha svolto un ammirevole lavoro di critica alle pretese che la “religione istituzionalizzata” (che in Italia significa il Cattolicesimo) sempre più arrogantemente avanza di essere considerata il fondamento dell’etica pubblica.
Il testo di Ferraris verte (riassumo qui un po’ confusamente) sulla malafede dei credenti, che affermano di fermamente credere, ma che in realtà credono soltanto di credere, mentre in realtà non credono affatto, e non credono affatto perché gli “oggetti” della loro fede sono cose del tutto oscure e dire di credere in qualcosa che non si sa che cos’è è appunto manifestazione di malafede (in realtà “i credenti non sanno esattamente in che cosa credono. Forse non l’hanno mai saputo”). La loro pretesa quindi di determinare la sfera pubblica a partire dalle loro credenze è irricevibile, perché ciò che fonda le nostre istituzioni dev’essere riconoscibile per tutti.
Insomma, ognuno creda in quello che vuole, e tutte le credenze vanno accettabili, quando però queste “non interferiscono nella sfera pubblica, come invece sta accadendo in forma crescente, e con una netta inversione di tendenza rispetto ai sentieri della modernità. È solo a questo punto che l’ateo deve dire al credente: io non ti vieto di credere in cose che reputo incredibili, come la verginità della Madonna o la Resurrezione (e sono cose anche più implausibili di Babbo Natale), e talvolta anche futili, come la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma non posso ammettere che queste tue credenze determinino la sfera pubblica, dal “God bless America” all’appello alla Jihad, senza dimenticarsi il “Gott mit uns”. Che restino nel tuo cuore, nel segreto della tua anima e della tua vita privata.Quando questo non avviene, c’è poco da ridere, anzi, mi pare, c’è da piangere e da aver paura: vedere per credere.”
Posted by: augie | 28/11/2006 at 18:06
L'ho visto oggi in libreria quel libro. Allora mi vuoi costringere a prenderlo :) ?
"Credere di credere" - o ancora meglio: voler credere di credere - è un concetto che usa anche il filosofo Daniel Dennett nel suo "Breaking the Spell" (Rompere l'incantesimo), in cui sottopone l'oggetto *religione* alla stessa analisi cui si sottoporrebbe qualsiasi oggetto passibile di essere scientificamente analizzato.
Presto, se ne avrò il tempo, parlerò di "The God Delusion" di Richard Dawkins che, con il suo instancabile impegno in favore dell'ateismo e del metodo scientifico, meriterebbe una *santificazione* laica.
Posted by: stefano | 28/11/2006 at 18:19