Tra i commentatori del post precedente, lui ha scritto: "Nessuno si sognerebbe di discriminare un malato, per esempio un handicappato: però non ci si aspetta nemmeno che un handicappato sia felice del suo handicap. Così, chi considera l'omosessualità una malattia (che lo ammetta o no), magari non ha un atteggiamento apertamente discriminatorio verso gli omosessuali, ma nemmeno si aspetta che questi non si dolgano della loro condizione come fosse un handicap. Perciò, di fronte a certa tolleranza, spesso ci si illude che l'altro comprenda, che stia dalla tua parte (ovvero consideri l'omosessualità con la neutralità con cui va considerata), e invece sotto sotto ti considera un malato (niente discriminazione, sia chiaro, però l'omosessualità è "un problema")." Questa osservazione mi ha fatto tornare in mente un episodio divertente che risale alla mia gioventù piena di entusiasmo e speranze. Si era nel 1990 - o nel 1991 - e in quegli anni, nelle varie università milanesi, si erano creati dei gruppi di studenti gay. Quello dell'Università Statale, a un certo punto, cominciò a ritrovarsi - in modo del tutto informale - presso i locali di un'associazione di sinistra lì davanti, in via Festa del Perdono. In realtà "cazzeggiavamo" fingendo di disquisire di grandi questioni. Un giorno a lui venne l'idea di chiamare tra noi - che eravamo una decina - il ragazzo che prestava servizio civile. Era, ovviamente, un ragazzo di sinistra, dalla mentalità aperta e progressista. "Che cosa pensi dell'omosessualità e degli omosessuali?". Col senno di poi, la domanda era un po' stupida e anche vagamente maliziosa: volevamo metterlo in imbarazzo, perché - in fin dei conti - che cosa avrebbe potuto dire davanti a noi, che eravamo in maggioranza? Lui recitò il mantra obbligato delle discriminazioni e dei diritti, fece un discorso assolutamente politically correct, ma alla fine ci piazzò un bel paragone tra omosessuali da un lato con drogati e handicappati dall'altro (come se, tra l'altro, un drogato o un handicappato non potessero essere anche omosessuali), rivelando così il substrato di tanta correttezza politica. A dire il vero non mi spaventa il fatto che alcuni - non avendo mai avuto esperienza diretta di omosessuali (anche per colpa di quest'ultimi che spesso preferiscono non manifestarsi) - abbiano un certo timore e una certa diffidenza nei confronti di chi, per loro, è diverso e quindi difficilmente comprensibile: non ne farei un dramma, così come non mi va di fare lo "psicopoliziotto" e indagare se chi si dichiara dalla parte degli omosessuali, lo sia poi veramente o se i suoi pensieri non nascondano un doppiofondo. C'è chi a volte se ne esce con qualche pregiudizio per pura e semplice inerzia, ma poi ha nei confronti degli omosessuali un comportamento di assoluta "tolleranza" - e quindi di quel genere di indifferenza che si traduce nel "vivi e lascia vivere" e in un'assenza di condanne morali. (Diverso è, naturalmente, il caso di chi vuole insegnare a un omosessuale qual è la maniera giusta per essere omosessuale). Al riguardo ripenso a una frase di Aldo Busi, il quale dice (cito a memoria) che un metodo infallibile per valutare quanto una persona è stupida è chiederle che cosa pensa dell'omosessualità: quanto più ne pensa "qualcosa", tanto più è stupida.
Giuro (mi si possa liquefare l'hard disk in questo momento)* che quando sono arrivato a metà del post - come se la domanda "Che cosa pensi dell'omosessualità e degli omosessuali?" fosse stata rivolta a me - ho pensato: niente.
Il mio ego mi dice che devo passare di qui più spesso.
*ehi, dico, c'ho su un bel po' di lavoro degli ultimi giorni non ancora backappato!
Posted by: Marcoz | 28/10/2006 at 22:08