Periodicamente si levano accorati lamenti perché in Italia non si legge abbastanza e non si vendono abbastanza libri. E' una preoccupazione giustificata, soprattutto se proviene dagli addetti al settore, che vedono minacciato il loro lavoro e la loro stessa ragion di vita, ma è un po' anche come se i produttori di lassativi si lamentassero perché non ci sono abbastanza stitici in giro. La differenza è che la protesta di coloro che gravitano intorno al mondo dell'editoria consente loro di assumere un'aria di afflitta nobiltà: sono in ansia per le sorti culturali del paese e questo fa indubbiamente un discreto effetto. Per quanto mi riguarda, io posso dire - come lettore - di avere fatto il mio dovere e di avere sostenuto, oltre che l'editoria italiana, anche quella di mezz'Europa e di buona parte degli Stati Uniti, e quindi posso stare con l'animo in pace.
Sinceramente, tutte queste geremiadi non m'interessano e un po' mi hanno stancato. Io leggo molto, leggo perché mi piace, m'interessa e perché obbedisco a un'urgenza che non posso sopprimere. Leggere per me è necessario quanto mangiare e, come con il cibo non ho mai la sensazione di aver mangiato una volta per tutte, anche con i libri non penso mai di avere esaurito quello che c'è da leggere. Non credo alle spiegazioni di chi non legge, perché in genere sono scuse belle e buone. Non hanno tempo - e magari passano ore e ore davanti alla televisione -, i libri costano troppo - e magari spendono cifre orrende in abiti firmati o per l'abbonamento allo stadio - (e comunque esistono le biblioteche, se questa fosse la ragione principale per la loro non lettura). Se dicessero che i libri li fanno cacare, li annoiano e preferiscono qualsiasi altra attività meno mortifera, li capirei di più. Ma li comprendo anche così: hanno succhiato con il latte materno il senso di colpa di chi dovrebbe leggere ma non lo fa e quindi si adeguano e dicono quello che ci si aspetta da loro. E le lamentazioni di giornalisti - che spesso, loro per primi, scrivono alla cazzo di cane e non leggono un libro nemmeno a impalarli vivi -, recensori, scrittori, intellettuali e - ovviamente - editori non fanno che peggiorare la situazione e ingigantire quell'enorme senso di colpa.
Ma che cosa legge chi legge? E' importante leggere a prescindere da quello che si legge e se non lo è - come credo che non lo sia - chi stabilisce che qualcosa è più meritorio di essere letto (o più utile a chi lo legge) di qualcos'altro? Parlando dell'Italia si fa spesso il confronto con altri paesi europei, dove si vendono più libri e, presumibilmente, se ne leggono anche di più: la Gran Bretagna o la Germania, per esempio. Io, quando sono in quei paesi e prendo la metropolitana o il treno, non leggo mai: preferisco guardare la gente, perché è un'attività più istruttiva. Ci resto pochi giorni, magari, e non voglio perdere tempo con il naso infilato tra le pagine di un libro. Che cosa vedo? Vedo, è vero, molta più gente che legge di quanta non ne veda quando viaggio in metropolitana a Milano, tanto per dire. E siccome sono curioso, mi chino, faccio le contorsioni per vedere che cosa stanno leggendo le persone che viaggiano nel mio stesso vagone. Nella stragrande maggioranza dei casi leggono stronzate, pure e semplici stronzate. L'ultimo romanzetto giallo, il libro di fantasy, il romanzone rosa (quando sono donne). Merda letteraria, insomma, il cui valore estetico è pressoché zero. Dei ponderosi romanzi o saggi, dichiarati irrinunciabili e nuovi capisaldi della cultura contemporanea, ne vedo pochini. C'è qualche studente che legge - immagino più per dovere che per piacere - qualche classico. E non va meglio nemmeno con i giornali: in Germania, per ogni persona che legge Die Zeit ce ne sono almeno cinquanta che leggono la Bild-Zeitung. E' indubbio, dunque, che all'estero leggano di più: ma leggere questa roba qui non è esattamente come non leggere?
Leggere è - dunque - per lo più un passatempo. Come guardare la tivù, come andare alla partita, come andare in discoteca o all'happy hour, come giocare con la play-station. Editori e recensori che piangono per la scarsa propensione alla lettura degli italiani dovrebbero, in realtà, essere così onesti da dire la verità: stanno piangendo miseria, perché gli italiani comprano pochi libri. L'ideale sarebbe che li comprassero anche senza leggerli, alimentando così un mercato che dà a loro posti di lavoro. Come si potrebbe fare altrimenti? Vige anche qui la banale legge del mercato - altro che "genocidio culturale" come cianciava tempo fa qualche imbecille dall'alto della sua cattedra universitaria -: si vende ciò che è richiesto e, in genere, è richiesto ciò che è più digeribile. Da parte mia, non ho assolutamente nulla in contrario. Anzi: la pletora di libri lanciati sul mercato mi garantisce che, tra i tanti, ci siano anche quelli che interessano me e magari pochi altri. Per questo io sono disposto ad accettare anche i duemilioni di copie di una Tamaro. Meglio questo di chi vorrebbe operare una sorta di censura preventiva, non ideologica stavolta - o almeno non dichiaratamente ideologica -, ma richiamandosi a una presunta "qualità intrinseca" dei testi pubblicati. A costoro ricordo che, per esempio, la DDR era un paese di lettori forti e, se escludiamo la pappa propagandistica, i libri pubblicati in quel paese erano per lo più di qualità, spesso romanzi pensosissimi, non di rado ad alto tasso di "impippamento" mentale. A conti fatti la carta costava cara ed era scarsa, le case editrici non dovevano rispondere a leggi di mercato ma solo ai piani quinquennali. Era il paradiso per tutti i cantori della "qualità" e della diffusione della lettura. Quando poi lo stato socialista si è dissolto, la gente ha cominciato a leggere di meno - o a leggere i tanto vituperati bestseller americani che leggevano tutti anche a occidente - e il mito dei tedeschi orientali lettori attenti alla qualità di quello che leggevano è andato a farsi benedire, con buona pace di quelli come Heym che, storcendo il naso, paragonò i suoi concittadini a delle cavallette che - avuta la libertà di andare a ovest - si limitarono a frugare nelle offerte speciali dei supermercati. Che rozzi: anziché andare a comprare i suoi romanzi, vietati a est ma pubblicati a ovest!
Se però devo sommare la mia voce a quella delle prefiche dell'editoria, allora dirò che, è vero, in Italia si legge poco e sarebbe meglio se si leggesse di più. Ma la mia gioia per un eventuale aumento dei lettori nel nostro paese - ovvero, delle vendite dei libri - crescerebbe in misura proporzionale se anche i traduttori non venissero pagati a forfait, ma ricevessero - come accade in alcuni casi in Germania e in Francia - una percentuale sul venduto, oltre una certa tiratura, e se venissero rinegoziati con loro i diritti di traduzione ogni volta che un libro da loro tradotto esce in edizione tascabile. Ecco, se così fosse, allora mi lamenterei anch'io perché "in Italia si legge poco". Ora come ora, però, sto bene così, grazie.