Quando sono andato a Berlino, un paio di mesi fa, mi sono portato dietro Black Dahlia di James Ellroy: volevo leggerlo prima che uscisse il film, per non farmi influenzare, e soprattutto per impedire alle facce degli attori di sovrapporsi ai protagonisti del romanzo. E poi avevo sentito dire un gran bene di questo James Ellroy che avevo voglia di verificare di persona. Il libro mi ha convinto a metà: sarà perché lo leggevo nelle frattaglie di tempo - cioè la mattina seduto sul water e la sera prima di crollare dal sonno, dopo aver macinato chilometri e cazzi tutto il santo giorno -, ma ho faticato non poco per seguire l'intricatissimo filo della trama. Il romanzo entra molto lentamente in medias res e l'inglese di Ellroy non è certo dei più semplici: sincopato e pieno di termini gergali, richiede molta concentrazione. Dall'omicidio che costituisce il nucleo centrale del romanzo si dipartono a raggiera tutta una serie di sub-trame, collaterali per cronologia o sotto forma di flashback, che rendono la storia ancora più intricata. Troppo tardi mi sono accorto che avrei dovuto leggere con un foglio e una biro a fianco, almeno per annotarmi i nomi dei personaggi e i rapporti che intercorrono tra di loro, così mi sono ritrovato spesso a pensare: "E questo chi è? Da dove salta fuori?". A leggerlo come un giallo, si rischia di restare delusi: troppo lento, troppo denso e - francamente - troppo improbabili le svolte che l'autore imprime alla vicenda. Ho concluso la lettura sentendomi perplesso. Eppure, eppure... Black Dahlia è uno di quei libri che risultano più belli nella memoria che non nell'atto stesso della lettura. Tra i suoi pregi c'è l'indubbia capacità dell'autore di rievocare un'epoca e un ambiente in modo quasi "sensuale".
Sabato, quindi, ho voluto andare a vedere il film che ne ha tratto Brian De Palma. Ci sono andato con una certa tranquillità d'animo: conoscendo già il libro - anche se ne avevo dimenticato, ormai, i numerosi dettagli -, sapevo che dovevo aspettarmi una tessitura ricca, a tratti farraginosa. Ho preferito quindi guardare il film come se stessi guardando un'opera d'arte, senza badare troppo alle sfumature della trama. Come il libro, anche il film, però, fatica a entrare nel cuore della vicenda - e io, ogni tanto, lanciavo un'occhiata ai miei due accompagnatori per sbirciare le loro reazioni. Alla fine, una di loro mi ha detto che il film le è sembrato "troppo carico". E in effetti lo è, ho replicato, ma rispetto al romanzo la pellicola è stata sfrondata di molti elementi e resa più leggera. Qui, per esempio, Lee Blanchard (Aaron Eckhart) viene ucciso a Los Angeles e non fugge prima in Messico, dove - nel romanzo - va anche Bucky Bleichert (Josh Hartnett, nella foto) per cercarlo: una deviazione abbastanza inutile all'economia complessiva del romanzo. Oppure la soluzione dell'omicidio, che nel romanzo avviene con la tecnica, tipica anche di Agatha Christie, di rivelare prima un "falso" colpevole, poi quello vero, viene semplificata nel film. Le varie accuse di Bucky ad altri poliziotti non vengono riprese nel film. Ma, nonostante questo, la pellicola di De Palma resta piuttosto macchinosa.
Premesso questo, Black Dahlia è un film curatissimo: come e più del libro, la ricostruzione dell'epoca e dell'ambiente - la Los Angeles della fine degli anni quaranta - è perfetta, con una fotografia e scenografie splendide, tanto da costituire, loro da sole, una vera festa per gli occhi. E' tanto fedele allo spirito del tempo che a volte si ha la sensazione di assistere a un film di quel periodo. Mi è parso persino di cogliere delle suggestioni hitchcockiane, per esempio nel modo in cui è ripreso l'omicidio di Blanchard, oppure in una scena in cui appaiono prima Bucky, che proietta la sua ombra su un muro bianco, e poi Kay (Scarlett Johansson), il cui volto un po' sfumato e la cui acconciatura ricordano un po' Grace Kelly. Qualcuno che l'ha visto mi ha detto di essersi sentito disturbato dall'eccesso di violenza. In realtà la rappresentazione della violenza, pur presente, non è né grand-guignolesca, né truculenta - tranne forse nei due denti di Bucky che schizzano con un fiotto di sangue, atterrando su un giornale, durante l'incontro di boxe iniziale.
Per quanto riguarda gli attori "minori", sono tutti molto espressivi, anche quando non sono affatto "belli" in senso tradizionale (e, anzi, l'unico bello è forse Josh Hartnett, il solo che viene mostrato in tutta la sua nudità). La loro presenza corporea è così forte da riempire lo schermo e risultare di per sé evocativa: penso al padre della vittima, la "dalia nera" Elizabeth Short, quando viene interrogato al diner in cui lavora, all'anatomo-patologo che pratica l'autopsia e infine ai poliziotti che lavorano con Lee e Bucky. Adorabile è, infine, Fiona Shaw nella parte della vecchia alcolizzata (e imbottita di psicofarmaci) Ramona Linscott.
Un film che consiglio senza esitazioni - purché si rinunci alla pretesa di vedere un "giallo" tradizionale.
Credo che questa sia il secondo (più o meno su cento) commento positivo riguardo al film che leggo.
In genere trovano gli attori abbastanza inadeguati (e poi vabbè, si sa che DePalma e sceneggiature raramente vanno daccordo...)
Chiara
Posted by: Chiara | 23/10/2006 at 11:30
visto ieri. anche a me è parso assai ben fatto, pur se un po' leccato (tutto quel seppia nella fotografia, Scarlett così imbambolata...) e pieno di citazioni di film degli anni 40.
la differenza principale rispetto al libro, che ricordo vagamente - pure io l'avevo letto in inglese - ma con molta inquietudine, mi pare un'assenza di intensità. però è stato un nobile tentativo l'aver privilegiato, in un libro così tentacolare, lo spaesamento del protagonista e il ritratto della città rispetto al crimine in sé.
Posted by: rose | 23/10/2006 at 17:14
Io, invece, devo dire che ne sono rimasta delusa. Sarà che non ho letto il libro, ma ho trovato la trama eccessivamente ricca, complicata da sottotrame continue, è stato un po' sgradevole avere la costante sensazione di non saperne a sufficienza. In almeno due occasioni volevo salire dal proiezionista a intimargli un rewind.
Però: Mia Kirschner. Da sola vale tutto il film. Incantevole, densa, struggente. Da dov'è uscita fuori?
Posted by: Fainberg | 24/10/2006 at 22:30
@Fainberg: da "L Word" (faceva la ex bisex, poi lesbica, poi boh non lo so più)
Posted by: Disorder | 26/10/2006 at 00:15
Non lo sapevo, Disorder, la serie non l'ho seguita. Peccato.
Posted by: Fainberg | 27/10/2006 at 15:01