In Olanda non sempre i bambini hanno cantato allegramente alla televisione, dichiarando di avere due padri e di non aver subito nessun trauma, come invece temono i reazionari. Non sempre, infatti, i Paesi Bassi sono stati il paradiso dei diritti degli omosessuali che si suppone siano oggi - e, per inciso, oggi sono tra gli stati - nell'Unione Europea - che hanno fatto i progressi più grandi, ma questo non significa che non ci siano più pericoli. Anche la storia dei gay olandesi è stata una corsa a ostacoli: lo racconta Gert Hekma, docente di studi omo-lesbici all'università di Amsterdam, nel suo saggio Homoseksualiteit in Nederland van 1730 tot de moderne tijd (L'omosessualità nei Paesi Bassi dal 1730 all'epoca moderna).
In effetti la grande apertura dell'Olanda agli omosessuali è piuttosto recente e ha le sue prime avvisaglie negli anni cinquanta di questo secolo, quando si inaugurano le sale da ballo della prima e più importante organizzazione omosessuale del paese, il COC. Prima di allora, anche per gli olandesi c'era poco da stare allegri. Il discorso pubblico sull'omosessualità seguiva la stessa linea degli altri paesi europei: condanna religiosa e morale, medicalizzazione e così via. I timidi tentativi di vivere più apertamente la propria omosessualità, prima della seconda guerra mondiale, sono stati soffocati dall'occupazione nazista. Ma quindi che cos'è successo dopo, che cos'è cambiato? Si è trattato del solito pragmatismo olandese: la polizia ha visto che con la possibilità di frequentare locali chiusi i gay non battevano più all'aperto e quindi ha lasciato correre e ha smesso di perseguitarli. Certo, non siamo ancora all'accettazione piena, ma è già una tregua che predisponeva a grandi sviluppi futuri. A questa evoluzione se ne aggiunge un'altra: gli omosessuali cominciano a frequentarsi e a desiderarsi tra loro, senza più coltivare il mito del "vero maschio eterosessuale" da sedurre - come accadeva di frequente in precedenza, e non soltanto in Olanda - e ciò elimina quello che era percepito come un "pericolo", ovvero il "traviamento dei normali".
Anche l'Olanda ha avuto il suo paragrafo di legge che puniva gli omosessuali: come per la Germania era il famigerato paragrafo 175, per l'Olanda era il 248bis, che è rimasto in vigore - anche se non più applicato - fino al 1971. I movimenti gay olandesi conoscono un grande slancio solo verso la fine degli anni sessanta, in corrispondenza dei grandi cambiamenti sociali e delle contestazioni di quel periodo, che danno origine anche a una rivoluzione sessuale più ampia. Ed è così che sorgono gruppi che si propongono di essere più radicali rispetto a quelli più "borghesi" come il COC: alcuni arrivano anche a discutere apertamente di pedofilia, fino in parte a giustificarla (almeno quando non comprendeva la vera e propria violenza). Il libro si concentra, a dire il vero, soprattutto sul secolo scorso, a cui dedica la porzione più corposa, concludendosi con l'ultimo decennio (dal 1990-2003), che vede le conquiste più alte dei movimenti gay olandesi: la legge sulla parità di trattamento ("Wet Gelijke Behandeling") e il matrimonio con il diritto di adozione.
Quello che rende godibile il libro di Hekma, però, non è soltanto il quadro storico - per apprezzare il quale bisognerebbe conoscere in maniera più approfondita le vicende politiche e sociali dei Paesi Bassi - ma sono anche gli aneddoti e le informazioni che l'autore vi dissemina. Apprendiamo così che nel 1880 viene progettato un nuovo modello di orinatoio pubblico fatto in modo che gli "ospiti" non possano vedersi reciprocamente e, allo stesso tempo, i poliziotti all'esterno possano vedere le gambe di chi è dentro. Tutto questo per frenare l'uso improprio dei pisciatoi. Come se non bastasse - siccome è quasi impossibile incriminare qualcuno se non cogliendolo, è il caso di dire, "in fallo" - viene promulgata una legge che detta i tempi massimi di permanenza all'interno del pisciatoio. Oppure c'è la descrizione delle castrazioni, praticate ancora negli anni cinquanta da diversi medici, convinti in questo modo di estirpare o "curare" l'omosessualità. Nell'apparato iconografico che accompagna il volume c'è la fotografia, scattata nel 1989, di un vecchio signore, tale A.J.A.M Wijffels, un chirurgo che per anni ha eseguito questi interventi, ritratto accanto al suo tavolo operatorio.
Ma ci sono anche altre cose nel saggio di Hekma - non ultima anche una buona dose di autobiografia, quella di uomo che negli anni sessanta scopre di essere non soltanto omosessuale, ma anche di apprezzare alcune forme di feticismo (nel suo caso, si tratta della biancheria intima di seta). I paragrafi conclusivi di alcuni capitoli sono dedicati ai personaggi pubblici che nell'ambito dell'arte, della letteratura o della politica hanno fatto dell'omosessualità uno dei cardini intorno cui ruota la loro attività (e, naturalmente, non mancano riferimenti a scrittori come Gerard Reve, Frans Kellendonk, Gerrit Komrij, o ad artisti come il ballerino, coreografo e scrittore Rudi van Dantzig).
Naturalmente non credo che Homoseksualiteit in Nederland possa rivestire un grande interesse per il lettore medio italiano, tuttavia ci sono, nella parte conclusiva del libro, una serie di spunti di riflessione di natura più generale che potrebbero essere colti e sviluppati anche da noi (e non escludo di farlo, in futuro), come per esempio il rapporto tra natura e cultura - e sono lieto di dire che Hekma è piuttosto sulla linea dei "culturalisti" che non dei "naturalisti" -; la perorazione del risvolto pubblico dell'omosessualità, con il corollario della sua necessaria visibilità negli spazi pubblici; il matrimonio omosessuale; le dicotomie amore e sesso, giovinezza e vecchiaia, "dirlo" o "non dirlo".
In fondo al libro c'è poi una corposa bibliografia - che mi ha suggerito un altro titolo da leggere prossimamente - e una serie di succinte biografie di personaggi che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia omosessuale olandese degli ultimi due secoli.
Certo che, tra tutte le sigle possibili, proprio COC dovevano pigliare? L'aneddoto del design per orinatoi è delizioso; in effetti il pissoir è caratteristico almeno quanto i fallici amsterdammmertjes.
Posted by: Piccolo Josip | 20/10/2006 at 17:41
Be', COC significa "Cultuur en Ontspannings Center" - centro di cultura e divertimento. Un nome abbastanza anodino, anche se non so quanto fosse consapevole, ai tempi, la scelta della sigla :)
Posted by: stefano | 20/10/2006 at 18:00