Non ci si lasci fuorviare dal titolo: Il libro nero dei regimi islamici di Carlo Panella non è un centone che si limita a raccogliere gli orrori dei regimi islamici al solo scopo di provocare un certo brivido di spavento nei suoi lettori, ma è un testo molto ben documentato, dal taglio storico, che copre il periodo che parte dal 1914 e arriva ai nostri giorni. Non racconta episodi isolati, ma si presenta con una forte unità d'insieme e, soprattutto, è una vera miniera di dati e di eventi, in molti casi ignoti al lettore occidentale (e quindi italiano) medio. In altri casi, invece, è utilissimo per rinfrescarsi la memoria.
La "vulgata" vuole che il fondamentalismo islamico, con le guerre che ha scatenato, sia in qualche modo una "reazione" alle colpe dell'Occidente. Carlo Panella mostra invece, documenti e fatti storici alla mano, che nel mondo islamico le guerre sono quasi sempre state manifestazioni di un'unica "guerra santa", il jihad, il cui scopo principale è di diffondere il "dar-el-islam", il territorio sottoposto alla "giurisdizione" dell'islam, e di allargare la umma, la comunità degli islamici. L'errore dell'Occidente è stato - ed è ancora, in gran parte - quello di avere interpretato in modo puramente meccanicistico la politica araba e avere creduto che molte delle guerre scatenate dai paesi islamici fossero spiegabili solo in termini territoriali, trascurando invece l'elemento ideologico-religioso. Panella smonta - con dovizia di argomentazioni - il teorema fallace secondo il quale l'antiebraismo islamico sarebbe una reazione alla nascita dello stato di Israele nel 1948 e a un preteso "imperialismo" statunitense nella regione medio-orientale. Numerose sono invece le testimonianze di un antisemitismo arabo che precede quello cristiano e prescinde dalla fondazione di Israele. Panella spiega come la falsa teoria del "complotto ebraico" sia ancora accreditata nei paesi arabi, sovente ai massimi livelli - e infatti si cita un libello pubblicato nel 1983 dall'allora ministro degli esteri siriano Mustafa Tlas, che sosteneva seriamente la vecchia fola dell' "omicidio rituale" e del pane azzimo impastato col sangue dei non ebrei. Allo stesso modo, Panella evidenzia come questo atteggiamento dei paesi arabi non fosse minimamente mutato nemmeno quando l'America non interveniva nelle questioni mediorientali o quando addirittura, negli anni quaranta-cinquanta, gli Usa preferirono non sostenere Israele per non scontentare troppo il mondo arabo.
Panella parte dalla dissoluzione del califfato e dal crollo dell'Impero Ottomano, il quale aveva giurisdizione sulle terre in seguito divise tra i vari stati esistenti ancora oggi (Siria, Libano, Giordania, Iraq), per passare poi ad analizzare l'alleanza - troppo spesso dimenticata - tra una parte (la più consistente) del mondo arabo, guidata dal Gran Muftì di Gerusalemme, Haji Al Husseini, con il nazifascismo hitleriano, da cui riprese temi e ossessioni antisemitiche e con il quale aveva una stretta parentela ideologica. E' questo filo rosso che attraversa il fondamentalismo islamico e il jihad fino ai giorni nostri. "Lo schema politico della fatwà con cui il Gran Muftì nel maggio 1941 proclamò il Jihad dei musulmani del mondo a fianco dell'Asse nazifascista (...), identico a quello del Jihad proclamato dal califfo ottomano nel novembre 1914, si ritrova nello Statuto palestinese di Hamas, nei documenti ufficiali dell'Arabia Saudita in cui viene motivato il rifiuto a sottoscrivere la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nelle analisi dell'ayatollah Khomeini e nelle fatwà di Osama bin Laden".
Non a caso, dopo la guerra Al Husseini riparò in Egitto, dove tra i suoi seguaci ebbe l'egiziano Nasser e quell'Arafat che avrebbe proseguito la stessa "politica" jihadista e terroristica con la sua Olp. Ai giorni nostri, invece, "la presidenza di Ahmadinejad [in Iran] rappresenta dunque il rilancio del Jihad sia a livello popolare, attraverso le strutture dell'Internazionale islamica di Hezbollah, sia a livello di Stato, attraverso il programma che punta a fare dell'Iran una potenza regionale in grado di inviare missili con testata atomica nel raggio di duemila chilometri. E per unificare la platea musulmana mondiale attorno al suo progetto, il nuovo presidente non ha esitato a ricorrere al sentimento antisemita". In realtà esisteva anche un secondo filo rosso, minoritario, rappresentato dalla dinastia dei Nashashibi, che oggi sopravvive in parte nella casa regnante di Giordania e che sosteneva invece un nazionalismo territoriale e non metastorico come quello degli jihadisti.
Il libro di Carlo Panella è costruito secondo un rigoroso ordine cronologico, e all'interno dei singoli capitoli vengono toccati gli eventi storici salienti che si riferiscono ai vari paesi islamici - di quelli, cioè, che in ogni singolo periodo hanno egemonizzato il corso degli eventi storici. C'è una disamina accurata del problema dei profughi palestinesi - spesso profughi per modo di dire, considerando la definizione lasca di profugo palestinese rispetto a quella di profugo tout court - e delle guerre scatenate dai paesi arabi contro Israele. C'è poi una gran quantità di informazioni che confermano l'uso della violenza all'interno dello stesso mondo musulmano e che riportano alla luce stragi di arabi per mano di altri arabi o di islamici per mano di altri islamici. In questo senso si inscrivono, per esempio, l'assassinio di Sadat - il presidente egiziano che non soltanto firmò la pace con Israele nel 1979, ma andò pure, unico leader arabo, a parlare alla Knesset, riconoscendo di fatto la legittimità dell'esistenza di Israele, o l'impiccagione del settantaseienne Muhammad Mahmoud Taha, nel 1985 a Khartoum, perché voleva riformare e modernizzare l'islam. C'è la storia del ruolo svolto dall'Arabia Saudita che, in seguito alla nazionalizzazione del petrolio e all'aumento del barile negli anni settanta, usa i petrodollari ricavati per costruire migliaia di moschee e madrase nel mondo, guidate da imam preparati nelle università coraniche wahhabite-salafite che predicano un islam fondamentalista, favorendo l'islamizzazione istituzionale degli stati musulmani, con l'introduzione della sharia e il ripudio dei princìpi del diritto degli stati democratici. Ampio spazio è dedicato alla spiegazione del concetto di "martirio islamico" e del suo carattere teologico e ai pilastri dell'ideologia elaborata dal khomeinismo. Il libro si chiude sulle evoluzioni più recenti nei paesi islamici, con qualche spiraglio di speranza per quanto riguarda il Marocco, la Giordania, ma con moltissime ombre nell'evoluzione di tutti gli altri stati islamici.
Naturalmente è impossibile riassumere in pochi paragrafi tutto il contenuto del Libro nero dei regimi islamici di Carlo Panella. Una volta letto, lo si può usare anche come opera di consultazione se dobbiamo recuperare dati preziosi per interpretare le vicende di attualità, cercando di sottrarci all'improbabile "equivicinanza" spacciata da molti mezzi di informazione di massa. Il libro è denso e, spesso, angosciante ("Ma come è possibile che...?" vien da chiedersi leggendo), ma proprio per questo utile, utilissimo.
[Tengo i commenti chiusi per evitare inutili polemiche: il mio è un suggerimento per chi vuole leggere un testo importante e questo post non pretende certamente di esaurire un argomento tanto vasto. Soprattutto non mi va che qualcuno venga a commentare pescando solo dal pozzo del "sentito dire" senza avere letto o studiato nulla al riguardo.]