Ieri sera, per la prima volta, sono andato al cinema. E sono andato a vedere un film di cui non sapevo praticamente nulla: dovevo averlo immagazzinato da qualche parte, in un angolo oscuro della memoria, dopo averne letto su qualche giornale italiano. Il titolo è Das Leben der Anderen, che mi diceva qualcosa ma non avrei saputo dire che cosa. Sono andato al cinema della Kulturbrauerei, perché sono pigro e non avevo voglia di fare troppa strada per tornare a casa. Quando sono partite le prime immagini, mi è tornato anche un vago ricordo di quello che avevo letto. Questo film, per la regia di Florian Henckel-Donnersmarck - è un tentativo di rivedere gli anni della DDR e il suo peggiore misfatto (il misfatto per eccellenza, anzi), cioè il sistema di spionaggio dei cittadini messo in atto dalla Stasi, non in modo ironico sotto il segno dell' "Ostalgie", come avveniva per esempio in "Goodbye, Lenin" o "Kleinruppin forever", ma in maniera drammatica. Allo stesso tempo la pellicola tenta di rispondere a una domanda difficile: è possibile che, all'interno di una struttura malvagia, vi sia almeno un uomo buono, un uomo che - disobbedendo silenziosamente al dettato della struttura stessa - cerchi di compiere, limitatamente, del bene? E' l'eterno dilemma dell'opposizione silenziosa nei regimi dittatoriali. Qui la risposta è positiva, e poco importa che il regista e lo sceneggiatore si siano (forse) inventati tutto.
Protagonisti sono un uomo della Stasi, Gerd Wiesler (interpretato da Ulrich Mühe), e un drammaturgo di grande successo - oltre che integerrimo socialista e strenuo difensore della DDR -, Georg Dreyman (Sebastian Koch). Il primo, convinto che la Stasi sia davvero "la spada e lo scudo" dello stato socialista comincia a mettere sotto osservazione Dreyman. A poco a poco, a forza di spiare "la vita degli altri" (a questo allude il titolo del film), Wiesler comincia a identificarsi nei drammi di coloro che osserva e sviluppa quasi solidarietà nei loro confronti, quasi comprendendone le ragioni. Quando, in seguito al suicidio di un suo amico regista a cui è stato proibito di lavorare, Dreyman decide di scrivere un articolo sul fenomeno dei suicidi, messo a tacere in tutte le statistiche di regime, e di farlo pubblicare senza autorizzazione nello "Spiegel", l'uomo della Stasi, che pure sa tutto, lo copre e arriva a formulare rapporti finti pur di proteggerlo. I suoi superiori che, pur sospettandolo, non hanno prove, lo declassano e lo spediscono in uno scantinato ad aprire con il vapore le buste delle lettere dei privati cittadini tedesco-orientali.
Poi succede quel che succede: si aprono le frontiere intertedesche, la DDR crolla come un castello di carte, arriva l'unificazione, Wiesler finisce per lavorare come postino e Dreyman ottiene l'accesso ai suoi dossier privati. E leggendo i rapporti di Wiesler scopre tutto. Lui che credeva di non essere mai stato spiato, lui che credeva di essere al di sopra di ogni sospetto. E scopre così che, all'interno di quel sistema perverso, c'è stato un "uomo buono" che l'ha aiutato, silenziosamente. E a lui dedica il suo nuovo romanzo, "in Dankbarkeit", con gratitudine.
Bravi entrambi gli attori principali. Bravo Mühe, il cui travaglio interiore non traspare mai alla superficie che mantiene invece sempre rigida e impassibile. Allo stesso tempo, però, dietro questa facciata algida s'intravedono la sua fragilità e il crollo progressivo delle sue convinzioni. E bravo Koch, che interpreta con brio l'intellettuale di successo, coccolato dal regime e pronto a stringere compromessi con il potere persuadendosi allo stesso tempo di non essersi "sporcato". Memorabili sono le parole che, alla fine, rivolge a un ormai ex ministro, quando lo incontra a una nuova rappresentazione di una sua opera teatrale: "Und wenn ich denke, dass Leute wie Sie mein Land geführt haben" (E se penso che è gente come lei che ha governato il mio paese) - e in effetti quel ministro, dall'aria sordida e suina, era proprio la quintessenza del potere nudo che si riempe la bocca di belle parole per giustificarsi e perpetuarsi. Due ore e mezzo di film che sono scivolate via con mio grande piacere: molto curata la ricostruzione della Berlino Est degli anni ottanta, con scene girate in alcuni luoghi - come il carcere della Stasi a Hohenschönhausen - che ancora oggi si possono visitare.
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