Io, M. e S. ci diamo appuntamento davanti al Rolling Stone con una mezz'ora d'anticipo sull'orario di inizio del concerto dei Belle and Sebastian. Io, ovviamente, sono lì in anticipo sull'anticipo e, tra me e me, faccio scommesse su chi tra M. e S. arriverà prima. Vinco la mia personale scommessa. Entriamo alle otto e trentacinque e la discoteca è già discretamente affollata, ma c'è ancora spazio verso il palco. Dopo avere lanciato qualche occhiata non propriamente decente ai numerosi bei ragazzi tra il pubblico che mi fanno sentire vecchio, ma vecchio, vedo che sul palco arrivano tre tizi che armeggiano intorno agli strumenti. Saranno i tecnici, penso. Invece, poco dopo, cominciano a suonare. Non sono i tecnici, ma il gruppo di supporto di cui né io né M. conosciamo alcunché. Il biondino con la camicia bianca e i jeans neri che è alla batteria - e che poi si scambierà il ruolo con il chitarrista - assomiglia molto a Shevchenko. Le canzoni non sono malaccio, con ritmi molto sincopati che variano in continuazione all'interno dello stesso brano, e si succedono senza soluzione di continuità. Mi colpisce soltanto una: "It's not the only way to be happy". Come è vero! E' la prima volta che suonano in Italia, dicono. Mi volto verso M. e gli dico: "Pensa che onore, magari diventano famosi e noi possiamo dire che c'eravamo". E accenno a quando, qualche anno fa, degli sconosciuti Coldplay fecero uno showcase alla Fnac. Alla fine mi sembra di capire che il loro primo album s'intitola "Field Music". Ho controllato: anche loro si chiamano Field Music - e sono nella prima foto qui sopra.
Quando abbandonano il palco, salgono i tecnici che si danno un gran daffare per sistemare tutti gli strumenti dei Belle and Sebastian, che cominciano con una buona quarantina di minuti di ritardo. Sono in nove, ma i veri catalizzatori sono il cantante (e chitarrista e tastierista) Stuart Murdoch e il chitarrista (e cantante, a tempo perso) Stevie Jackson. Il primo è completamente vestito di nero e indossa una bombetta in testa. E' minuto e carino e quando si muove sembra quasi un agilissimo pupazzo. Canta e balla e quando balla mi ricorda il Jimmy Sommerville dei tempi andati. Stevie, invece, sembra un incrocio camp tra i robot kraftwerkiani degli anni settanta e, quando accenna qualche balletto, il Battiato degli anni ottanta. Devo ammettere che non sono un fan dei Belle and Sebastian, che fino a poco tempo fa conoscevo soltanto di nome, ma M. li ama molto, e da molto tempo. Quando ha saputo che sarebbero venuti in concerto a Milano mi ha chiesto se volevo andarci anch'io, e io, a mia volta, sapendo che piacevano anche a S. ho proposto che venisse anche lui, chiudendo così il cerchio. Però mi sono preparato e ho ascoltato il loro ultimo album The Life Pursuit e quello precedente Dear Catastrophe Waitress, insieme con una compilation che M. ha allestito appositamente a mio uso e consumo. Ho assistito quindi al concerto con l'atteggiamento mentale piuttosto libero di chi non si aspetta niente di particolare se non di ascoltare canzoni che fino a poco tempo prima gli erano sconosciute ma che ha imparato ad apprezzare. I Belle and Sebastian sono bravi e precisi: le esecuzioni sono perfette e non presentano approssimazioni o sbavature. Ovviamente il più carismatico è proprio Stuart Murdoch, che sembra catalizzare su di sé tutte le attenzioni, mentre gli altri - a parte, appunto, Stevie Jackson - restano piuttosto defilati e sotto tono, pur dando il loro contributo puntuale. Sarah Martin sembra anzi una ragazzina che sia salita sul palco a "fare una cosa" dopo essere stata interrotta mentre faceva qualcos'altro (la si immagina facilmente che, mentre stava annaffiando le piante o mettendo a posto la casa, qualcuno le abbia detto: "Oh, vieni a suonare un attimo" e lei ci sia andata, con lo stesso spirito di "matter of factness").
Non sono in grado di ricostruire la scaletta del concerto - anche perché non conosco il loro repertorio -, ma con il senno di poi posso dire che hanno presentato gran parte del loro ultimo album (Funny little frog, Another sunny day, Sukie in the graveyard, Song for sunshine, White collar boy - pescando dal pubblico un ragazzo che, effettivamente, aveva una camica dal colletto bianco - e, nel bis, The blues are still blue) e pezzi più vecchi, come The state I am in (a grande richiesta del pubblico), Electronic Renaissance - che a me, con il suo piglio electropop, è piaciuta molto -, I'm a cuckoo, Jonathan David - l'unica cantata da Stevie Jackson -, Your cover's blown.
Va detto qualcosa sul pubblico: come in ogni evento che si rispetti, c'è sempre qualcuno che ci rovina lo spettacolo. Stavolta erano tre ragazzi proprio davanti a me e a M., particolarmente scalmanati. In particolare uno di loro, che aveva pure la caratteristica di essere piuttosto corpulento e macrocefalo, si dimenava come un bufalo in preda all'etilismo e cantava (stonando parecchio) oppure lanciava urli inconsulti. M. si gira verso di me e mi dice: "E pensare che io ero contrario alla pena di morte". Gli rispondo: "Nemmeno io contemplavo la possibilità della tortura". Esattamente dietro di me, invece, c'è un ragazzo romano che fa il controcanto a tutte - ma proprio tutte - le canzoni, di cui conosce a memoria i testi. Dico a M.: "Adesso gli stringo i coglioni in mano, così si esibisce anche in un acuto". Alla fine vorrei fargli i complimenti per il concerto, ma soprassiedo. A un certo punto, invece, mi sale alle narici uno strano odore di bruciato. Mi volto e, accanto a me, vedo un ragazzo che sta fumando. Dunque: siamo stipati in un locale affollato - dove in teoria è vietato fumare - e questo mi accende una sigaretta sotto il naso. Lo incenerisco con lo sguardo e gli dico: "Be', potevi chiedermi se mi dava fastidio". Lui: "Ti dà fastidio?". Io, stizzito come sono io quando sono stizzito: "Sì, molto". Lui: "Scusa", e spegne la sigaretta.
Il concerto è durato poco meno di due ore e alle undici e mezzo circa siamo tutti sciamati fuori dal locale. Si è fatto freschino e noi tre ci rifugiamo in un "piccolo pub" in corso XXII Marzo prima di rientrare a casa per la notte - che neanche stanotte avrebbe fatto il suo colpo.
[Update: M. ha ricostruito la scaletta del concerto, con le canzoni in ordine sparso. Mi dice che ne manca una di cui non conosce il titolo, tratta dal primo album. Se qualcuno è più informato, si faccia vivo. Se poi quel qualcuno fosse il ragazzo con i capelli e gli occhiali neri, dall'aria malmostosa e un po' imbronciata, che era alla mia sinistra, mi mandi anche una mail e il suo numero di telefono, ché magari trovo io il modo di farglielo venire... in mente.
Another sunny day
White collar boy
Dress up in you
Sukie in the graveyard
Song for sunshine
Funny little frog
I'm a cuckoo
The stars of track and field
If you're feeling sinister
The state I am in
Electronic Renaissance
Jonathan David
Your cover's blown
Belle and Sebastian
The blues are still blue
The boy with the Arab strap ]
Devo imparare ad essere molto più stizzito io, con la gente che fuma (purtroppo ahimè, ai concerti - specie se affollati - è una battaglia persa; per fortuna in pub o disco va meglio).
Invece sono un cagasotto senza palle :)
Posted by: Disorder | 25/05/2006 at 19:14
Fallo senza indugio! In genere funziona. Talvolta basta lo sguardo inceneritore, in effetti...
Posted by: stefano | 26/05/2006 at 00:43
Uff...se non sopportate i fumatori, quelli che si dimenano che urlano e che cantano, che ci andate a fare ai concerti rock? ;)
Posted by: Matthaei | 26/05/2006 at 02:02