I
La vita è quella cosa che accade mentre aspettiamo di vivere (o mentre progettiamo o pensiamo di vivere. In genere con la postilla: prima o poi). E' una di quelle frasi che mi ha attraversato la mente - tra ieri e oggi - e non so se l'ho letta da qualche parte, se l'ha detta qualcuno o se l'ho pensata io. Diciamo che è una frase azzeccata, qualunque sia la sua provenienza.
II
Come viene, viene. C'è ancora chi non ci crede, eppure è così. Scrivo come mi viene, me ne fotto della forma. Se quello che scrivo è reso pubblico allora cerco di evitare refusi e faccio in modo che la sintassi non sia traballante. Ma come penso o sento, scrivo. Quando scrivevo lettere, le scrivevo così. Ho una scrittura elementare che corrisponde a un'esigenza elementare: buttare fuori un po' di zavorra. Avevo già detto che scrivo come se cacassi. Non ci hanno creduto, pensavano volessi sminuirmi. Ma solo chi considera la merda un sottoprodotto può ragionare così. Provate voi a non cacare per giorni di fila e poi vi renderete conto di quanto sia importante un "alvo regolare". Il mio cervello ha gli stessi meandri del mio intestino. Penso e mi libero, almeno per un momento. Il problema è che non si defeca una volta per tutte.
III
La profondità corrisponderebbe dunque a una certa intensità del tormento? E allora, come corollario: niente tormenti, niente profondità? Ma io mi sono rotto i coglioni di tormentarmi per distillare una bella frase in più. (Una frase che è bella a detta di chi la legge, mentre per me è solo tormentosa e io avrei di gran lunga preferito non scriverla e stare zitto del tutto). Dalla pena si può attingere a piene mani quando si tratta di impugnare la penna e, in genere, l'empatia è assicurata. Le sfighe altrui hanno sempre riscosso successo. Difficile è trovare tono e linguaggio quando invece si tratta di esprimere la gioia e la felicità: al patetico (imbrigliato da una scrittura misurata, ovviamente, ché noi abbiamo buon gusto e non siamo portinaie) credono tutti, mentre la gioia suona falsa, irrimediabilmente falsa. E a buona ragione perché, come tutti sanno, chi vive un'esperienza di intensa felicità si pone al di fuori delle parole e non gli viene neanche in mente di "liberarsi" della sua gioia scrivendone. La tiene, anzi, bella stretta e per farlo deve tacere. Ogni parola in più è di troppo. Se per servire un testo devo mettere il freno al naturale istinto di godere allora è forse meglio che non scriva più, perché sarebbe veramente come castrare gli adolescenti perché conservino quelle tonalità che, una volta scoglionati (e letteralmente, in questo caso), delizieranno gli ascoltatori.
IV
Non è necessario che si capisca tutto: basta che lo capisca io che l'ho scritto. E del resto, ne ho ampie conferme: ogni parola, uscita dalla bocca o dalla penna (per noi idioti tecnologici: dalla tastiera del computer), è già corrotta, vive di vita autonoma e nella testa di chi legge significherà comunque sempre "altro". Parlare non è soltanto incorrere in tautologie - come dicevano -, ma è anche e soprattutto accettare di fraintendere ed essere fraintesi. Siamo murati nel carcere del nostro cervello. Rassegniamoci, please.
V
Sto parlando di me, di me e poi ancora di me. E non di te, e nemmeno di te, né di te, né di te. Che nessuno si senta offeso, quindi.
VI
Allora, un esempio. Lui è bello e si sente che è a suo agio nel suo corpo. Lo vedi da come si muove, dalla postura che assume anche quando non sta facendo nulla: non è come noi che quando siamo costretti a stare fermi non sappiamo dove mettere le mani e, per non darlo a vedere, incrociamo le braccia, spostiamo il peso da una gamba all'altra, ci grattiamo il naso, la bocca o il mento, intrecciamo le mani dietro la schiena, facciamo uno o due passi in avanti, rapidi e sincopati, poi ci blocchiamo subito, come folgorati. Lui no: è svelto, armonico, dinoccolato. E' tutta presenza fisica. Ha le spalle larghe - ma non troppo - di chi è abituato a fare esercizio, il culo gli tende il tessuto dei calzoni - che sono quasi sempre jeans -, alle dita porta degli anelli senza però avere l'aria del magnaccia o senza traccia di volgarità. I capelli sono spettinati, diremmo noi, sbagliandoci, perché in quell'essere così arruffati ci sono un calcolo e una cura maniacali. Nulla è più complesso dell'apparente semplicità, che richiede una lunga costruzione. Lo sguardo di quegli occhi azzurri, che per lo più scocca in linea retta sopra di noi senza che la nostra misera figura s'imprima sulla sua retina (e ci sorprenderebbe se, incontrandolo per strada, ci salutasse: per evitare una conferma preferiremmo strisciare a testa bassa contro un muro, fingere di non averlo visto, quasi scusandoci di esistere), sarebbe capace di incenerirci in un attimo se soltanto si degnasse di abbassarsi di quei cinque o dieci centimetri necessari per cogliere la nostra presenza. Ha, oltretutto, una bella voce: maschile e sicura di sé, ferma senza essere strafottente. E' uno di quei rari ragazzi che, non appena li intravedi, ti fanno pavlovianamente scattare nella testa un film in cui vieni spinto in un angolo e sbattuto come l'ultima delle mignotte. Poi, per caso, lo senti impegnato in una conversazione, lo senti parlare di suo figlio, di suo suocero, di sua moglie. Uno come tanti, dunque, forse più narciso o più innamorato di sé. Quando lo rivedi ancora - sempre così bello, dopo anni che lo conosci di vista - resti fulminato da un pensiero: quanti libri avrà letto? Avrà mai scritto qualcosa? Quando non ha nulla da fare si precipiterà ad afferrare un libro, a scrivere su qualche quaderno, a macinare parole e a tormentarsi con pensieri che non conducono da nessuna parte? Sei sicuro di no. Non ne hai le prove, ma sei sicuro di no. Allora pensi con amarezza a una vita (alla possibilità di una vita) fatta di cose, nude e crude, accompagnate dalla quantità minima e indispensabile di parole. La maggioranza delle persone è fatta così: può consolarti disprezzarla o svalutarla, puoi irriderla, forse, anche nel momento stesso in cui ti illudi di mostrare pietà e comprensione, ma è solo quando la vedi accompagnarsi alla bellezza che ti viene il sospetto di avere sbagliato tutto.
VII
Tutta la letteratura è perfettamente inutile. E ora, con un ribaltamento retorico, tutti si aspetterebbero una frase a effetto che negasse questa affermazione o che la spostasse su un piano più elevato, nobilitandola. Una frase del tipo: "ma, proprio perché inutile, è fondamentale" oppure "ma è proprio questa sua inutilità la rende necessaria come l'aria che respiriamo". O ancora: "ma più inutile della letteratura c'è soltanto la vita". Invece non scriverò una puttanata del genere. La letteratura è assolutamente inutile. Punto e basta. Nessuno è mai morto perché un libro non è stato pubblicato, nessuno è mai morto perché non ha letto i classici o l'ultimo best-seller. La parola definitiva non esiste - o, quanto meno, non esiste una parola più definitiva di un'altra. Quindi tanto vale lasciar perdere. A volte mi chiedo se accedere alla non-lettura e alla non-scrittura non sarebbe una forma superiore di saggezza. Che io non ho, ben inteso, come non ho altre forme di saggezza. Ho solo me stesso, che tutto sono fuorché un saggio.
VIII
Se mi venisse offerta l'opportunità di essere davvero "felice" e in cambio non dovessi più leggere o scrivere una sola riga - ma che dico: una sola lettera dell'alfabeto -, credo che accetterei senza esitare. Sarei felice, no? Che cosa mi mancherebbe? Ho qualche nume tutelare: Pier Paolo Pasolini, di cui si è molto parlato in questi giorni e di cui per la prima volta ho letto un'intervista in cui sosteneva di trovarsi bene con persone completamente ignoranti, che al massimo hanno fatto la quarta elementare; Christa Wolf che, in una lettera a Brigitte Reimann, scrive che le persone "sazie e soddisfatte" non scrivono e non leggono - una frase che ho messo, un anno e mezzo fa, come epigrafe a questo weblog (e che ne è la cifra interpretativa principale, ignorata da chi pretendeva che, invece, lo facessi ridere) -; Franco Battiato che, in un libro intervista con Franco Pulcini, diceva che avrebbe buttato volentieri tutta la sua opera per un gesto veramente umano (contrapponendosi a Wagner che invece avrebbe fatto - o forse fece davvero - il contrario). E allora chi sarei io per non rinunciare ai miei miseri passatempi da imbrattacarte o da lettore compulsivo?
IX
Non avrò mai detto una parola che abbia cambiato il corso delle cose. Perché non tacere, dunque?
X
Potrei vivere benissimo anche senza scrivere. Il passo successivo è di trasformare questo "potrei" in un "dovrei": dovrei vivere benissimo anche senza scrivere. O, per amore di concisione (e di verità): "dovrei vivere senza scrivere". Uno sforzo ancora, per raggiungere la precisione definitiva: soltanto senza scrivere, vivrei.
"Sto parlando di me, di me e poi ancora di me. E non di te, e nemmeno di te, né di te, né di te."
E tu che ne sai?
Posted by: Matthaei | 07/11/2005 at 00:52
Ne so, ne so. Mettevo le mani avanti, una sorta d'intermezzo, prima che qualcuno mi dicesse: "Ma allora tu, tu vuoi dire che io... eh?" e s'incazzasse. Pardon: s'adirasse.
Posted by: stefano | 07/11/2005 at 00:55
boah impressive!!
Posted by: gp | 07/11/2005 at 02:33
Non ho capito: il tuo ideale è l'ebetudine, l'assenza di coscienza? In tal caso, tutti credo sappiamo qual è la strada più breve che ci (ri)conduce alla res.
Posted by: myskin | 07/11/2005 at 16:57
(stupidboy dall'ultimo banco alza la mano)
"scusi, non ho capito la IX, me la spiega?"
Posted by: stupidboy | 07/11/2005 at 17:09
massì, massì.....
e ciononostante scrivi
e continuerai a farlcosì come pensi
leggi
caghi
respiri....
Posted by: tato | 07/11/2005 at 17:47
Ahi ahi ahi, contrapporre scrittura e vita, come se una escludesse l'altra! se ti sente Arbasino ti bacchetta sulle dita.
Posted by: endimione | 07/11/2005 at 19:52
"Provate voi a non cacare per giorni di fila e poi vi renderete conto di quanto sia importante un "alvo regolare". Il mio cervello ha gli stessi meandri del mio intestino. Penso e mi libero, almeno per un momento. Il problema è che non si defeca una volta per tutte"
questo è indubbiamente il discorso dell'anno.
Posted by: Yoshi | 07/11/2005 at 20:44
il fascino del consapevole per gli inconsapevoli è cosa nota, come da secoli l'inverso.
però non ci credo alla rinuncia alla parola scritta e letta, è una sorta di progresso indotto il fatto che si debba sacrificare il sè per l'altro.
si sta male facendolo ma anche non facendolo.
forse.
Posted by: Mauoshi | 08/11/2005 at 02:31
ça depend...
La vita è anche quella cosa che aspetta mentre noi siamo intenti a vivere...
La vita è quello di cui ci accorgiamo,
prima o poi,
il tetto che ci ripara,
la tegola in testa,
i sogni e i bisogni di tegola e tetto...
la vita la vita... ahi la vita!
ci vorrebbe una musica, altro che parole!
Posted by: farolit | 08/11/2005 at 10:52
sul punto V Lina Sotis ti direbbe che non è bon ton, che bisogna far parlare anche gli altri.
Posted by: BubbleHouse | 08/11/2005 at 11:12
Ste, vano il tentativo di risponderti via trackback (o non è abilitato o non funziona).
In ogni caso: piuttosto strano, ti posso dire che sembri incazzato, ma il tuo ragionamento (che assume la forma di una giustificazione di pubblica verbosità, che tu lo voglia o meno), non sta neppure in piedi...)
Credo che l'unica coerenza possibile tra pensiero e azione, in questo caso, sarebbe stata di non scrivere (mai capito perchè lamentare il nonsenso di ciò che si fa facendolo ancora una volta)
Sono perplesso
Posted by: Ivan Roquentin | 08/11/2005 at 11:58
"Forza sarebbe continuare a provare e sopportare il fallimento. Quella è la vera forza."
Posted by: emilio/millepiani | 08/11/2005 at 13:43
Vedo che quest'argomento ha suscitato molti commenti.
A me sembra che le considerazioni svolte abbiano un solo, vero, punto debole, che è anche il punto debole dei blog in generale e di questo in particolare, e cioè l'idea che la comunicazione consista nell'essere un emittente di segnali e che il senso di questa comunicazione stia nel riuscire a "cambiare" il corso delle cose, che esista un io precisamente delimitato, una realtà esterna a quest'io fatta di persone anche loro delimitate e che la comunicazione sia un bombardare queste altre persone, la realtà circostante, con i propri segnali.
E' un discorso autoreferenziale, quindi, per definizione, sterile; una somma di monologhi che si sovrappongono non è ancora un dialogo, anzi, ne è la sua negazione.
A me sembra che la tragedia nel nostro tempo stia proprio in quest'accavallarsi di autoreferenzialità che ci avviluppa TUTTI, nessuno escluso.
Come scriveva la Dickinson:
"How dreary - to be - Somebody!
How public - like a Frog -
To tell your name - the livelong June -
To an admiring Bog"
Noi siamo il "pantano" e Stefano è la "rana".
Così stanno le cose.
Però io leggo perché voglio farlo, perché a volte mi piace e mi stimola.
Posted by: Matthaei | 08/11/2005 at 20:45
Emilio, non c'è dubbio. Ma se neghi il valore di una atto neghi anche la possibilità di una "forza" che consista nel fallire (o nel "fallire meglio"). Non c'è valore in ciò a cui non si assegna valore e non c'è fallimento negli atti insignificanti. Il punto in questione è decidere se assegnare o meno un valore: e, secondo me, riconoscere o meno di averlo assegnato in passato.
Posted by: ivan roquentin | 08/11/2005 at 23:08
Un passaggio di PierPaolopasolini, tanto 'gridato' in questi giorni. Dove alla parola 'morte/morire' deve essere letta quella di 'scrittura/scrivere'.
«E' dunque assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile (nell'ambito appunto di una "Semiologia generale"). Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci»
Posted by: emilio/millepiani | 09/11/2005 at 15:39
Credo che l'unica coerenza possibile tra pensiero e azione, in questo caso, sarebbe stata di non scrivere (mai capito perchè lamentare il nonsenso di ciò che si fa facendolo ancora una volta)
mi sembra una cosa del tutto insensata. mi spiace non essere capace, al momento, di argomentare. so solo che mi sembra di capire perfettamente il discorso e di trovare assurda l'obiezione. è un po' poco, lo so.
Posted by: cascade | 09/11/2005 at 18:41
PS peraltro, io l'ho scritto della musica sui volantini coi testi del mio gruppo che distribuivamo ai concerti "la musica è totalmente inutile e così le parole nei testi non servono che a sé stesse".
PPS anche io vorrei che l'intera opera di battiato sparisse. non in cambio della mia felicità, ma bensì come un inizio di gradino per la mia felicità.
Posted by: cascade | 09/11/2005 at 18:47
l'hai detto tu all'inizio. scrivere è vomitare. o meglio, cagare. prova a rimanere senza e poi fammi sapere com'è. certo che poi scivere è mediare il pensiero con i tasti del pc o le regole della scrittura. falsando, forse il pensiero stesso. o il concetto. la mancanza di regole potrebbe essere una via da percorrere
Posted by: p.s.v. | 10/11/2005 at 12:27
quando ricominci a cagare?
Posted by: Yoshi | 10/11/2005 at 14:44
...una novità assoluta, diciamo, all'alba del 1900:D
Posted by: cascade | 10/11/2005 at 14:57
Ho bisogno di un po' di pausa...
Posted by: stefano | 10/11/2005 at 15:38
Cioè non scrivi più? Passo in privato...
Posted by: Ivan Roquentin | 10/11/2005 at 20:45
Stitico? :)
Posted by: Matthaei | 10/11/2005 at 23:38
magari non avrai più lo stimolo di cagare in una latrina pubblica. il che è anche comprensibile. ma credo che nel tuo bagno tu la faccia ancora. non si può vivere senza cagare.
Posted by: billigioia | 11/11/2005 at 15:31
Mi piacerebbe fare qualche considerazione ma quello che ho letto regala tanti spunti quanto nessuno. Mi ritrovo in tante parole e in tanti pensieri anche se non erano per me. Ma cosa importa poi?
Posted by: zed | 11/11/2005 at 18:25
C'è un'altra cosa che non mi è chiara.
Ma cadavrexquis PERCHE' scrive?
Questo non l'ha spiegato.
Posted by: Matthaei | 11/11/2005 at 19:22
perché è un esibizionista :)
Posted by: valentina | 12/11/2005 at 00:34