Giuseppe Genna ha fatto l'uovo, Giuseppe Genna comincia a cambiare pelle. Quando si schiuderà questo uovo e quando la muta sarà completata, avremo un nuovo Genna che prima era contenuto solo in nuce nei suoi romanzi gialli, una forma che ormai gli andava stretta. L'anno luce, il suo nuovo romanzo, è un lavoro di transizione: contiene ancora elementi di quella suspense che permetteva ai suoi lettori (e ai lettori casuali) di godersi storie come quelle di "Catrame", "Nel nome di Ishmael" o "Grande Madre Rossa". Erano gialli abbastanza tipici - e sottolineo l'avverbio "abbastanza", perché neanche allora lo erano mai del tutto per soddisfare i puristi del giallo. Sotto sotto c'era qualcos'altro e lì dentro c'era un Genna che si dibatteva e che sembrava voler strapparsi di dosso una specie di camicia di forza. Se "Nel nome di Ishmael" seguiva, tutto sommato, delle linee narrative abbastanza tradizionali, nei romanzi successivi il primo elemento a essere sottoposto a corrosione è stato il linguaggio: sempre più rapsodico, sempre più allusivo, sempre più "insolito" per un "normale" romanzo poliziesco. Con "L'anno luce" Genna viene allo scoperto. Abbandona innanzitutto l'ispettore Guido Lopez, protagonista dei suoi romanzi precedenti, e fa esplodere la trama, dando libero sfogo alla sua fantasia e alle sue ossessioni (e chi mi conosce sa che uso questo termine in un'accezione positiva: che cos'è uno scrittore se non coltiva le sue personali ossessioni e se con esse non dà forma alla sua scrittura?). Non si può leggere un romanzo gennesco senza essere colpiti, appunto, dalla sua strepitosa inventiva, che dà slancio anche a storie che potrebbero essere, tutto sommato, abbastanza ovvie.
Riassumere la trama di "L'anno luce" significa fargli torto, perché il valore di questo libro è proprio in ciò che esorbita dalla trama e in ciò che s'infila nei suoi intestizi. Protagonista è il manager di una grande azienda di telecomunicazioni, la Komtel, chiamato in tutto il libro "il Mente". La suddetta azienda sta per essere acquisita da una multinazionale inglese e l'acquisizione non avviene di certo in modo trasparente: dietro a questa operazione si nascondono maneggi e sordide operazioni. Interviene un oscuro "Faccendiere" (l'unico ad avere anche un nome e un cognome: Anthony Brook), un burattinaio che muove i fili dietro le quinte, fornendo al Mente i mezzi per ricattare il suo diretto superiore, il "Profeta", e fargli le scarpe, consegnando così l'azienda agli inglesi. Ma alla vigilia dell'incontro con i rappresentanti della multinazionale britannica, il Mente trova la moglie Maura a letto in stato d'incoscienza. Di primo acchito pensa che sia morta. Ha subìto uno shock: che cosa le è accaduto, che cosa le è stato detto? Ha forse a che fare con la relazione che intrattiene con un suo studente minorenne (poiché Maura è un'insegnante)? Con sommo gusto per la dietrologia e per le "teorie del complotto" (secondo le quali ciò che si nasconde dietro la parte visibile della realtà è sempre più significativo e, in qualche modo, reale della realtà stessa) Genna fa entrare in gioco anche i cinesi e il Vaticano. Della storia non rivelerò altro, per non rovinare la sorpresa a chi intende leggersi "L'anno luce", ma mi limito a qualche osservazione collaterale.
Innanzitutto il linguaggio, che qualcuno ha sbrigativamente definito "manieristico". Trovo invece che Genna cerchi di forzare i limiti di un linguaggio puramente descrittivo o semplicemente narrativo. La scrittura qui si fa "metanarrativa": quello che noi leggiamo non è più soltanto il racconto di una vicenda, ma il racconto di un racconto. Assistiamo, insomma, al racconto nel suo farsi. Il narratore non si cancella, ma si manifesta in maniera evidente, tanto che abbiamo l'impressione di avere davanti a noi l'autore che ci descrive il suo romanzo. L'autore dialoga con il suo lettore, gli rivolge delle domande e poi le rivolge a se stesso, e con le risposte che si dà costruisce il suo romanzo. Ne consegue un tipo di scrittura nervosa e a scatti in cui sembra quasi che lo stesso narratore non sappia quello che sta per venire dopo. A questo stile corrisponde una frammentazione incredibile: il romanzo regge, la struttura regge, ma non compie un percorso lineare. E' invece tutto un procedere avanti e indietro, tra diversi piani temporali e spaziali, come se da un centro partissero numerose linee che si dirigono verso la periferia. Gli episodi vengono presi e ripresi. A un certo punto, Genna ci regala anche un "romanzo dentro al romanzo". L'amante diciassettenne di Maura le dice di avere scritto un romanzo, che ha intitolato "Il Capolavoro Misterioso". Noi questo libro non lo leggiamo, ma lo legge Maura e Genna ci dà il sunto della trama in una decina di pagine, e anche qui rivela un'inventiva che lascia senza fiato. Un altro scrittore avrebbe preso quelle idee e le avrebbe usate in un altro romanzo. Genna, invece, le spende così, con generosità e noncuranza.
Ci sono, in "L'anno luce", pagine con splendide intuizioni. Penso per esempio alla rappresentazione dell'incontro/scontro tra i rappresentanti dei vertici della multinazionale inglese e della Komtel, descritto con i toni dell'epos bellico, quei toni che un tempo la poesia riservava alle gesta degli eroi delle guerre. E' evidente che, per Genna, la violenza primigenia, quella che un tempo si esprimeva solo tramite la guerra, oggi si esprime - nei paesi avanzati, quelli che vivono in "stato di pace" - nel mondo dell'economia e della produzione, nell'universo crudele dell'azienda e nel culto dell'aziendalismo, dove solo uno strato sottile di civiltà permette di nascondere la brutalità della bestia umana che c'è sotto - e illuminanti sono, al riguardo, le considerazioni che Genna ci offre sulla natura, sulla cultura, sul potere e sull'evoluzione. "la specie si conserva con brutalità arcaica. Il potere è antievolutivo: esercitandolo, manteniamo in allenamento gesti primordiali, che hanno permesso alla specie di diventare cosa è ora: cioè la stessa specie di prima, caverne eccetera, con qualche apparato culturale a occultare la propria natura bruta. (...) Siamo produttori di atti di dissimulazione, che abbiamo battezzato 'cultura'. La cultura è la natura che va in maschera al carnevale". O ancora: "Il business è logorrea. E' diarroico: una diarrea lessicale". Questo desiderio di smascherare le finzioni del mondo aziendale attraverso l'iperbole e la parodia bellica si manifesta, del resto, anche nel significativo soprannome del protagonista: il "Mente", che - con uno scoperto gioco di parole (scoperto perché rivelato dall'autore stesso) - oltre che essere il "cervello" è anche un "mentitore". Le due cose, però, non sono separate, ma sono due aspetti della stessa realtà: il Mente può essere "mente" (aziendale) solo se "mente". Il mondo in cui si muove, dunque, è fondato sulla menzogna.
Oltre a queste illuminazioni ci sono pagine di grande potenza evocativa: si leggano, per esempio, il brano - da antologia - in cui Genna immagina e descrive la putrefazione dei cadaveri nelle tombe durante una visita di Maura al Cimitero Monumentale di Milano (un luogo, questo, che sembra svolgere una funzione fondamentale nell'immaginario creativo di Genna, perché vi si svolgeva un episodio altrettanto potente di "Grande Madre Rossa"), oppure quello in cui l'autore formula l'ipotesi di un anti-universo cancerogeno, in cui la replicazione impazzita delle cellule sarebbe la regola, mentre quella che oggi è considerata la norma verrebbe guardata con sospetto. Altrettanto interessante è la commistione di realtà e invenzione in "L'anno luce", che si manifesta anche attraverso una serie di digressioni. Genna recupera episodi dalla storia più o meno recente - senza operare distinzioni tra "storia alta" e "storia bassa" - e li frulla nel suo contenitore narrativo, collegandoli a personaggi ed eventi di fantasia. In una narrazione già frammentata le digressioni sono tangenti che scivolano via dalla sfera del racconto: ecco allora le pagine dedicate all'incontro di Gigi Rizzi e Brigitte Bardot a St. Tropez nel 1968; alla cagnetta Laika lanciata nello spazio dai sovietici; alla fondazione della città di Las Vegas, divertimentificio nel deserto; alla vicenda tormentata di Uwe Johnson, lo scrittore tedesco che scoprì di essere spiato dalla moglie appositamente assoldata per questo scopo.
Quando chiudiamo "L'anno luce" all'ultima pagina - dopo un finale che, a sua volta, attinge dall'attualità - non possiamo fare a meno di chiederci quale sarà il prossimo passo di Giuseppe Genna e quale sarà la sua evoluzione futura. Sappiamo però che la via è segnata: questo è un autore importante che non va preso sotto gamba.