I gulag di Stalin non sono più un segreto da tempo, mentre dei gulag di Fidel Castro poco si sa. Dipende forse dal fatto che Stalin è ormai morto e putrefatto, mentre Castro regna ancora imperterrito su Cuba? Mi stupisce, infatti, il credito di cui gode tuttora Castro presso larghi strati della sinistra, disposta a fargli abbondanti sconti nonostante le violazioni perenni dei diritti umani. Un contributo, in forma narrativa, alla scoperta delle cosiddette Umap (Unità mobili di aiuto alla produzione) - un altro degli eufemismi che i regimi dittatoriali usano quando si tratta di mascherare la realtà dei campi di concentramento e la repressione dei dissidenti - arriva dal romanzo, appena pubblicato in italiano, di Félix Luis Viera Il lavoro vi farà uomini - titolo che, oltre ad avere maggiore impatto rispetto all'originale "Un ciervo herido", richiama il motto "rieducativo" sotto cui si ponevano le Umap.
Il romanzo di Viera è ambientato negli anni sessanta, il periodo in cui le Umap conobbero la loro maggior diffusione, popolate da dissidenti, testimoni di Geova, omosessuali o chiunque fosse inviso al potere castrista. E' partendo dalla sua esperienza personale di prigioniero che Viera costruisce il suo racconto e quello che sorprende, leggendolo, è la totale mancanza di rancore o livore. L'esperienza è dura, ma l'autore sembra averla mondata delle scorie per fare brillare i fatti nella loro nudità. "Il lavoro vi farà uomini" non è però soltanto un documento, ma è anche un testo narrativo costruito con grande sapienza in cui si intrecciano, alternandosi e creando così una sorta di polifonia, diversi livelli. Il nucleo centrale è rappresentato dalla vicenda del protagonista, Armandito Valdivieso che, poco più che ventenne e appena sposatosi con una ragazza di provata fede comunista, viene arrestato perché considerato "asociale" (in realtà basta poco per attirare su di sé questa accusa: avere i capelli lunghi, ascoltare i Beatles, frequentare qualche omosessuale o andare nei cabaret). L'arresto lo porta nel campo di lavoro di Camaguey, dove incontra altri compagni di sventura, in maggioranza omosessuali ("Quelli che proprio non capisco perché si trovino qui sono gli omosessuali. Ognuno è libero di fare della sua anima, corpo e culo quello che vuole, non ti pare?") - come il drammaturgo apostrofato con i soprannomi di "Artista" o "Elefantessa" -, o elementi sgraditi al potere castrista come il contadino avventista Jorge e il ballerino di rumba Guillermo. La descrizione del trasporto in treni blindati verso il luogo di destinazione ricorda in maniera inquietante le deportazioni naziste: persone ammassate in vagoni con poca acqua da bere, ben presto sudicia, e costrette a stendersi in mezzo ai propri escrementi. Nei campi la vita non è certamente migliore, anche se Viera si guarda bene dal disegnare un ritratto in bianco e nero trasfigurando le sue vittime, di cui mostra invece anche le debolezze e le meschinità. Ciò non sminuisce però la crudeltà e l'ingiustizia delle punizioni inflitte agli internati - come, per esempio, la tortura della goccia, "il bagno turco" (che, per inciso, praticavano anche nelle prigioni "politiche" della DDR, come quella di Hohenschoenhausen) o il "sotterramento", sotto il sole cocente, con solo la testa che spunta fuori dalla terra. A questo nucleo centrale si affiancano le lettere che Armandito scrive alla madre Andrea Ginarte, vedova, e stralci di una sorta di diario che quest'ultima redige, usando un linguaggio colorito, perché il figlio lo legga quando lei sarà morta. E alla fine la donna morirà davvero: suicida, ingerendo varecchina, come si suicidano altri personaggi del libro di Viera (come, per esempio, l'omosessuale che una notte aveva afferrato il cazzo duro di Armandito addormentato, rimediando un pugno al risveglio). Infine lo sguardo di Viera si posa anche sull'altro versante, cioè quello di chi ha il coltello dalla parte del manico, come Stalin Gomez e il gruppo di persone che decidono la sorte di Armandito e di quelli come lui, facendoli arrestare.
Le ultime pagine del romanzo segnano una cesura temporale e stilistica e introducono, senza ulteriori commenti, un' "intervista" - non sappiamo se frutto di un'invenzione narrativa o se documento reale - che, adducendo a pretesto un segreto incarico governativo, l'autore conduce con uno dei soldati che, negli anni sessanta, era a guardia del campo di lavoro forzato di Camaguey. L'uomo non solo non è pentito della sua attività, ma la ritiene meritoria e pensa ancora che fosse necessaria, così come continua a sperare nel trionfo futuro del socialismo, nonostante tutte le ristrettezze a cui è costretto a sottomettersi ("notti in cui si va a dormire con un poco d'acqua e zucchero nello stomaco") e malgrado i privilegi di cui godono i "dirigenti" ("Non mi dirà che, per esempio, il Comandante in Capo deve soffrire le stesse ristrettezze degli altri").
Di Viera non so nulla, se non le informazioni fornite nella postfazione di Guido Vitiello, che situa "Il lavoro vi farà uomini" nel suo contesto storico e politico. Parlando della "cappa di maschilismo" - e della conseguente repressione degli omosessuali a Cuba (di cui fu vittima e testimone al tempo stesso anche Reinaldo Arenas nel suo "Antes que anochezca") - Vitiello cita il "documentario celebrativo" di Oliver Stone in cui il regista, timidamente, accenna a questo aspetto, che Castro evasivamente liquida definendolo "il problema del machismo", "come se a fomentarlo, il 'problema', fosse stato altri che lui; e come se non fosse stato lui a escogitare per esso le soluzioni abiette su cui Viera ci informa in modo così accurato e toccante".
di solito si dice "ma a cuba c'è un alto livello di istruzione, ci sono ospedali buoni, ecc ecc", anche qui durante il fascismo i treni arrivavano in orario. anch'io non riesco a capire questa timidezze nel dire le cose come stanno, forse c'è ancora troppo romanticume attorno ai barbudos
Posted by: Yoshi | 23/11/2005 at 22:54
Se vuoi davvero stupirti, prova a parlare della questione con i dirigenti arcigay. Ti racconteranno meraviglie dei loro viaggi sull'isola.
Posted by: Benjamino | 24/11/2005 at 03:03
Cazzo fresco e a buon mercato? Come in Marocco? Si vede che basta per far chiudere un occhio sui diritti umani.
Posted by: stefano | 24/11/2005 at 09:04
No be', non mi riferivo a questo, non mi permetterei mai. Mi riferivo agli argomenti simili a quelli citati da Yoshi.
Posted by: Benjamino | 25/11/2005 at 13:53