L'ultima sera, più per pigrizia che per nostalgia, M. e io siamo andati in un ristorante italiano della Lange Reihe. Il cameriere che viene a prendere le ordinazioni anche da noi è italiano - siciliano - e si chiama Salvatore, sempre che non sia uno pseudonimo scelto ad arte. Capisce quasi subito che siamo italiani. "Di dove sei?" chiede a M. "Di Milano", risponde lui. Poi lo chiede anche a me, che gli ho parlato in tedesco. Quando gli dico che anch'io sono di Milano, si stupisce del fatto che io parli tedesco. "Credevo fossi svizzero". E in quel momento penso che potrebbe essere una buona via di uscita quando si tratta di parare le indebite confidenze di certi italiani all'estero. "Sono svizzero, di Lugano. Parlo bene tedesco perché ho cominciato a studiarlo alle elementari. Sai, da noi si usa così." Quando torna con le bevande, Salvatore c'informa giulivo e complice che domenica l'Inter ha perso contro il Palermo, ma intuisce di avere fatto un buco nell'acqua quando sui nostri volti vede dipinta un'indifferenza mista a insofferenza. "Non v'intendete di calcio?". "Ma che cosa crede - mi dice dopo M. -, che solo perché siamo italiani dobbiamo interessarci per forza di calcio?". Poi si arresta un attimo perplesso. E' così, in effetti: trovare un italiano che non si interessi di calcio è l'eccezione e non la regola.
Al tavolo accanto al nostro sono sedute due americane, attempate ma ben conservate, che parlottano tra di loro in inglese con un accento stretto, quasi incomprensibile. ("Atlanta, Georgia", ci rivela il cameriere impiccione). Sono già a metà cena. Davanti a loro c'è una caraffa di vino da cui hanno già ampiamente attinto, come si evince dal rossore sulle gote di quella che riesco a vedere direttamente in faccia. Salvatore arriva e recita il ruolo dell'italiano galante come se lo immaginano indubbiamente due turiste americane in Europa. Canticchia stupide canzoni smielate ("Tu sei romanticaaa..."), sfodera quelle due o tre parole italiane familiari a ogni straniero che si rispetti ("Bellissima, sei bellissima"), sorride a piena dentiera, quasi danza intorno al tavolo quando vi appoggia sopra il piatto. E infine schiocca un bacio sulla guancia di una delle due. Poi, mantenendo sempre uno sguardo che sprizza buon umore, felicità e tipico "savoir vivre" italiano, si volta verso di noi e dice (in italiano): "Vabbe', queste hanno un piede nella fossa, facciamoci le vecchie che per le giovani ci sarà tempo". In questa messinscena c'è qualcosa di veramente italiano, che non consiste tuttavia nel suo contenuto esplicito, ma nel modo latente del messaggio: ciò che c'è di "italianissimo" in tutto questo spettacolo è il cinismo perfettamente calcolato con cui viene recitato. Ecco - mi dico - l'italiano tipo: un cinico seduttore. La dama di mezz'età vede il seduttore, io vedo il cinico. A forza di bere vino, le due americane sono brille. Quella che ho di fronte si volta verso di noi e ci dice di averci già visto alla stazione quello stesso giorno. M. replica cortesemente: "Ci passiamo spesso, perché i nostri alberghi sono lì vicino". Io aggiungo che siamo qui da qualche giorno, ma vorrei specificare che è impossibile che ci abbiano visto. Sicuramente noi non abbiamo visto loro e, se anche le avessimo viste, la loro immagine non si sarebbe impressa sulle nostre retine prima e nella nostra memoria poi - e comunque non tanto a lungo da restarvi fino a sera.
Poco dopo arrivano due australiani e Salvatore li fa accomodare a un tavolo accanto alle due americane, dove prima erano seduti tre tedeschi di mezz'età. E con loro riprende il suo gioco della seduzione, in una versione moderata, stavolta, perché non ha a che fare con due donne sole ma con una coppia mista, ovvero composta da un uomo e una donna. Chiede loro da dove vengono, li presenta alle due americane, e poi, rivolgendosi a noi, dice: "Visto che ambiente internazionale?". Io non lo ascolto più di tanto, perché abbiamo il tavolo che dà sulla vetrata e sulla strada e la mia attenzione è continuamente distratta dai numerosi bei ragazzi che mi passano davanti, presumibilmente quasi tutti gay, visto che siamo nel quartiere più finocchio di Amburgo. Alla fine, quando vogliamo pagare, al galante Salvatore cade la maschera. Mentre ci spiega che lui è stato mandato in tutto il mondo ("Anche in Cina!") da quella che è una catena di duecentocinquanta ristoranti italiani, ci porge il conto e specifica che la mancia non è inclusa, ne stabilisce lui l'entità, facendo subito la strisciata della carta di credito. Io non ho voglia di contrattare. La "simpatia" dell'italiano tipico vale quattro euro.
non so dove, in che punto, tuttavia il racconto mi ha intristito, come certi film di Germi, che ridi ma al tempo stesso ti senti miserabile.
Posted by: ha | 14/09/2005 at 19:19
E' vero: il cameriere del ristorante impersona la figura dell'italiano "cinico seduttore" (chissà se vale anche per gli italiani omosessuali?).
Del resto questo tipo di atteggiamento ha esercitato anche un'attrazione su certi stranieri. Non ne ricordo il nome, ma tra costoro c'era anche uno scrittore omosessuale britannico che fece molto per propagare quest'immagine.
A me questo racconto ha ricordato di quando, più volte, all'estero mi hanno detto che "non ero un italiano tipico".
Provavo un orgoglio misto a disagio quando succedeva.
Posted by: Matthaei | 14/09/2005 at 19:50
Anche a me capitò una volta in una gelateria che un cameriere dopo aver fatto l'amicone mi rimbrottò dicendo "ma non lo sai che qui si unsa dare la mancia?".
Gli Italiani che lavorano nella gastronomia in Germania sanno essere terrificanti (e non mi riferisco ovviamente solo alla mancia).
Trovo assurdo anche il fatto che istruiscano i dipendenti di altra nazionalità (turchi, greci...) a rivolgersi alla clientela con espressioni italiane tipo "buonasera", "Signora" ecc...
Posted by: hans | 14/09/2005 at 23:06