Sul Corriere della Sera di ieri leggo che Calisto Tanzi, nell'aula del Tribunale dove verrà processato per il crac Parmalat, ha dichiarato: "Prego tanto il Signore e sono molto sereno". Uno dei suoi avvocati - che non nomino per puro spirito umanitario - ha rincarato la dose: "Tanzi è un uomo molto religioso. Lo è sempre stato" e ha aggiunto che la prima cosa che fece quando finì in carcere due anni fa fu di andare a messa. Non capisco che cosa c'entrino le due dichiarazioni con il processo e con il reato di cui Tanzi è imputato. Forse, siccome l'imprenditore è religioso e praticante, il suo reato è meno reato? Il sottotesto, probabilmente, attinge a quel bacino di convinzioni irriflesse - quasi reazioni automatiche - per cui il concetto cristiano del "perdono" si sposta dal peccato al reato, confondendo i due campi, fino a farli sovrapporre, cosicché il "perdono cristiano dei peccati" dovrebbe applicarsi al reato o mitigarne la pena, magari fino a coincidere con l'assoluzione? Ma non è soltanto questo il punto. Trovo indecente il richiamo alla propria fede cattolica in quel momento, perché in buona sostanza - e neanche troppo onestamente, temo - vuole veicolare il pregiudizio (poiché altro non è) secondo il quale un uomo che prega e va a messa e crede in Dio è per forza un uomo buono, non può essere malvagio e, quindi, colpevole di un reato - che, nella fattispecie, ha mandato sul lastrico migliaia di persone. Sottintesa è la vecchia sciocchezza per cui non esisterebbe un'etica al di fuori della religione, o se esistesse sarebbe comunque della stessa natura di quella religiosa (per molti sedicenti laici, infatti, l'etica è questo: morale religiosa meno Dio). In questo richiamo alla propria fede (che sia reale o no - e io spero che non lo sia, davvero) ravviso un uso tipicamente italiano e tipicamente cattolico che definirei "mafioso". Mafioso perché la fede religiosa viene piegata per coprire magagne private e creare un clima favorevole a sé, elevando il proprio tornaconto privato, ovvero: salvare la pellaccia, al di sopra e a discapito della responsabilità nei confronti della parte pubblica concretamente danneggiata. Poverino, poverino il cavalier Tanzi che, sebbene sia un uomo tanto religioso - e tanto buono -, viene perseguitato dai quei cattivoni di giudici! Le dichiarazioni di Tanzi e, ancora di più, quelle del suo avvocato sono quindi un'offesa in primo luogo alla "civitas" e, in secondo luogo, a tutti quelli che, in buonafede, sono religiosi davvero. Mi domando se questi ultimi non provino disgusto per l'uso strumentale della loro religione. Da un punto di vista puramente oggettivo - e quindi in riferimento ai reati per cui viene processato - il fatto che Tanzi sia subito andato a messa dopo il suo arresto nel 2003 ha lo stesso valore che se fosse andato in discoteca a ballare, all'osteria a giocare a briscola, a puttane a sollazzarsi o che si fosse dedicato al bricolage, al giardinaggio o alla playstation. Non è una linea di difesa oggettiva. Ma purtroppo serve a creare - chissà perché - un clima a lui favorevole. (Esattamente come quando la signora Fazio, dopo la baraonda delle intercettazioni, si è fatta fotografare all'uscita della chiesa dove era andata a pregare. Scandaloso che, per sottrarsi alla responsabilità pubblica, certa gente si nasconda dietro il suo dio).