Quando inizio una nuova traduzione lo faccio lentamente e a piccole dosi. Ieri ho tradotto le prime due pagine di un testo che mi terrà occupato qualche mese. Ogni volta è veramente come immergere la punta di un piede nell'acqua di una piscina per sentire se è fredda. Bisogna prima acclimatarsi alla temperatura dell'acqua e solo dopo si potrà scegliere se tuffarsi, immergersi con metà del corpo, fare qualche bracciata più ampia o nuotare liberamente. All'inizio non ho ancora colto il tono del romanzo, la voce dell'autore, il suo ritmo e il suo respiro. La traduzione delle prime pagine è sempre un po' goffa, come se le dita fossero ancora anchilosate e non volessero rassegnarsi a digitare le parole di un altro. Poi, a poco a poco, mi abituo all'individualità del testo che ho sotto mano, proprio come ci abituiamo alle persone e ai loro tic che, in maniera quasi empatica, dopo una lunga frequentazione facciamo nostri spesso senza accorgercene. Lo stesso accade con un testo da tradurre: il processo risulta più facile quando quel testo lo amo o se mi ci trovo in sintonia, facilissimo - al di là dei problemi e delle difficoltà tecniche concrete - se vi scorgo qualche elemento in cui identificarmi, per esempio un personaggio in cui un po' mi riconosco. E quando magari sono a metà del libro e ho accelerato i tempi di traduzione, oltre che il numero di pagine che riesco ad affrontare in una sola seduta, mi accorgo che sto scrivendo con la voce dell'autore e mi muovo alla sua stessa velocità. Mi sono annullato o sono diventato un semplice tramite. A poco a poco, questo corpo a corpo ha creato un'entità nuova, un impasto di voce autoriale filtrata dalle parole del traduttore, un'entità che è diventata quasi spontanea. Questo avvicinarsi e fondersi con un testo e con un'altra scrittura mi risulta evidente durante la fase di correzione della prima stesura. Infatti, quando rileggo le pagine iniziali avverto una legnosità che è indice della distanza che all'inizio c'era ancora tra me e l'autore, una distanza che poi ha ceduto il passo a un progressivo avvicinamento segnalato da una maggiore scioltezza linguistica.
Però capita anche che, oltre alla stanchezza oggettiva e alla fatica di macinare parole di altri per trasformarle in "parole nostre", cioè nella nostra lingua, in alcuni casi nasca un'ostilità irrimediabile tra il testo da tradurre e il traduttore. ll traduttore non sente alcuna affinità con l'autore che deve affrontare e traghettare in un'altra lingua o addirittura lo detesta un po'. Questa ostilità magari si trascina per tutta la durata dell'opera e produce una frattura che non si sana mai. In questi casi la fatica del tradurre aumenta, ma io spero sempre che mi venga in soccorso un certo "mestiere", visto che non s'instaura alcuna simpatia. M.H. ha (quasi) sempre tradotto solo libri di autori che gli dicevano qualcosa e si stupiva che io, a volte, mi misurassi con libri del tutto insignificanti. Io gli spiegavo che anche quello era un esercizio: mi faccio un punto d'onore di tradurre qualsiasi cosa rientri nelle mie capacità. Di autori che vorrei vedere tradotti - e che magari vorrei tradurre io - ce ne sono alcuni, ma se mi proponessi di non tradurre altro nel caso in cui non potessi tradurre loro probabilmente non lavorerei più.
Tu che fai il traduttore, sai cos'è Trados?
Posted by: Matthaei | 24/09/2005 at 23:14
No, ma immagino si tratti di un programma di traduzione. Fino a che punto sia utile per le traduzioni letterarie non saprei dirtelo. Dubito che lo sia.
Posted by: stefano | 24/09/2005 at 23:35
In effetti mi sono informato. Non so bene cosa facciano questi programmi di traduzione ma dev'essere così, e capisco bene che per le traduzioni letterarie (che sono, per l'appunto, "letterarie") possa servire a ben poco.
Posted by: Matthaei | 25/09/2005 at 03:47
Non è un programma di traduzione, ma - dicono - un "aiuto" al traduttore: semplicemente memorizza tutte le espressioni tradotte e le ricorda quando se ne trova un'altra uguale o simile, minimizzando lo sforzo di tradurre ripetutamente lo stesso tipo di espressioni ("TRADOS 7 is the premier Translation Memory software. It recycles your translated sentences to make you faster and more consistent. It frees you from repetitive typing and allows you to concentrate your energies on actually translating.", da: http://www.translationzone.com/sublink.asp?ID=725 ).
Una questione propriamente filosofica è invece quest'altra: perché, malgrado la paurosa potenza di calcolo dispiegata dal software di recente generazione, non esistono programmi che siano in grado di tradurre decentemente anche semplici frasi? (Né, aggiungerei, in grado di fare il *riassunto* della trama di "Biancaneve e i sette nani"). Dare una risposta coerente, senza fare riferimento all'anima, alla coscienza del traduttore o cose aleatorie del genere, è molto difficile. Qui filosofia della mente e filosofia del linguaggio sono impegnati in un notevole incontro di wrestling.
Posted by: Mauro | 25/09/2005 at 10:23
E' un interrogativo senza risposta, temo... Forse la lingua è così impastata con i microelementi di una cultura che non si può trasferire direttamente, meccanicamente in un'altra lingua, e finché i computer non impareranno a "pensare" temo che la questione resterà aperta.
Posted by: stefano | 25/09/2005 at 13:15
"Ogni volta è veramente come immergere la punta di un piede nell'acqua di una piscina per sentire se è fredda."
Davvero uno splendido modo di descrivere il primo contatto con un libro da tradurre: grazie.
Ora vado a immergere l'alluce nella nuova piscina.
Posted by: la pra | 26/09/2005 at 09:46
ogni lingua legge il mondo, e ogni autore legge il mondo a suo modo servendosi come veicolo della sua lingua. finora i computer si limitano a "vedere" il mondo, a fotografarlo. finché non riusciranno a leggerlo non si potrà affidarsi alle loro capacità per tradurre.
Posted by: avi | 26/09/2005 at 11:42
Oh mi mancavano gli appunti di traduzione! Concordo con lapra, hai usato un'immagine strepitosa. Io ora mi sento così stanca di nuotare che mi sa che affogherò, anche se l'acqua mi pareva proprio della temperatura gradita. Ci vorrebbe un po' di "mestiere" in più. Più polmoni, in effetti.
Posted by: liseuse | 27/09/2005 at 19:21