In occasione dei sessant'anni della bomba atomica su Hiroshima, il sei agosto scorso, avevo pensato di leggere qualcosa sull'argomento e la scelta è caduta su La pioggia nera di Ibuse Masuji, che lui aveva caldamente consigliato tempo fa. "La pioggia nera" è un romanzo sui generis, è un testo che mischia elementi narrativi a elementi documentaristici, perché si appoggia a molte testimonianze dell'epoca, e l'autore - che pure non è stato vittima diretta dell'evento - cerca di assumere la prospettiva dei suoi personaggi, i quali si trovano immersi in una realtà che non conoscono e ancora non riescono a interpretare. Scrivere un romanzo sull'atomica e sui suoi effetti avrebbe significato anche scriverlo partendo dalla conoscenza delle conseguenze e di tutto ciò che si è saputo soltanto dopo, molto dopo, a cose fatte. Ibuse, invece, vuole riprodurre l'orrore della non-conoscenza, lo stupore che coglie all'improvviso le vittime e trasmetterlo al lettore. Il lettore deve così, in qualche modo, diventare contemporaneo della distruzione di Hiroshima. La tecnica impiegata è di una dislocazione temporale: a un presente, non meglio precisato, in cui Yasuko, la nipote del protagonista Shizuma Shigematsu, non riesce a trovare marito perché sospettata di essere stata colpita dalla "malattia atomica", si alterna quindi la narrazione dell' "evento" attraverso stralci diaristici, sicché l'immagine del passato recente viene ricostruita attraverso la polifonia delle voci di chi l'ha registrato nel momento in cui avveniva. Tutta gente - incluso lo stesso Shizuma, la moglie e la nipote, o certi medici perplessi da quello che vedevano - che non sapeva e non era in grado di dare un nome a quello che stava accadendo. L'effetto è straniante: colpisce soprattutto lo spaesamento e l'orrore di chi non riesce a dare un nome alle cose, come se il nominarle potesse in qualche modo depotenziarle o addomesticarle. Tutto avviene sotto forma di tentativi, anche la ricerca di una possibile cura per i feriti e i malati, a cui il lettore assiste leggendo il diario di un medico che riesce a guarire e a riprendersi.
Il tono che l'autore sceglie è - nonostante l'orrore della materia del romanzo - calmo e quasi distaccato: anche nelle scene più dure, quelle in cui esplicitamente descrive le conseguenze pratiche delle radiazioni o quelle in cui il protagonista incontra i malati o i morti, le scene ambientate nei lazzaretti improvvisati. Non c'è mai uno scivolamento nel voyeurismo dell'atrocità, come sarebbe facile, e lo sguardo di Ibuse resta oggettivo. E' sufficiente, infatti, la realtà di quello che vede e viene mostrato a suscitare spavento e scandalo nel lettore. Allo stesso modo l'autore rifugge dalle interpretazioni: "La pioggia nera" non è un romanzo direttamente politico, non cerca di fornire spiegazioni, condanne o giustificazioni di sorta. Se crea disagio nel lettore, lo crea proprio per questa sua nudità. Manca l'ira, manca l'indignazione, manca la rabbia, non ci sono invettive. Non so, per mia ignoranza, quanto questo dipenda da una scelta estetica consapevole di Ibuse e quando invece sia da ascrivere alla cultura giapponese, di cui non so praticamente nulla. Sicuramente è un approccio abbastanza diverso da quello che avrebbe un europeo. Stupisce, infatti, più di una volta l'insistita attenzione dell'autore per certi fenomeni della natura - l'allevamento delle carpe, le coltivazioni dei campi, l'erba che cresce -, anche in mezzo a tutto quell'orrore e quella distruzione. Pare quasi che, anche quando le condizioni di vita si fanno tragiche, la mente orientale si ritragga comunque in uno spazio di quiete. O forse, come sottolinea giustamente Luisa Bienati, docente di letteratura giapponese a Ca' Foscari, nella sua bella ed esaustiva introduzione, questo continuo riferimento alla natura serve da contraltare, a dare "un senso di calma e serenità nei momenti di forte tensione". Alla fine del romanzo c'è - così almeno a me pare - una placida rassegnazione, una disperata speranza (o, per meglio dire, una speranza che contiene in sé la consapevolezza che essa non potrà realizzarsi) che è molto lontana dall'atteggiamento mentale occidentale. Shigematsu, infatti, contempla la natura mentre ormai Yasuko sta soffrendo gli effetti più pesanti della "malattia atomica" e si dice: "Se appare un arcobaleno, non bianco ma di cinque colori, Yasuko guarirà", però - l'autore aggiunge poi, riportando il pensiero del protagonista - "ben sapendo che non si sarebbe avverato". E su questa nota desolata si chiude il romanzo.
"La pioggia nera" - che, come spiega Bienati, è esso stesso un ossimoro, contrapponendo la pioggia che porta nutrimento e rinnovamento nella natura al colore nero, che simboleggia invece la morte e la distruzione - non è sicuramente un "bel" romanzo, un romanzo che si possa leggere per fare passare il tempo. E' un romanzo, inoltre, che a me pone dei problemi molto banali - come quasi tutte le poche cose di letteratura giapponese che ho letto finora - riguardo alla toponomastica e all'onomastica. I luoghi in cui si muove il protagonista si confondono, dopo un po', nella mia mente e non corrispondo più a punti precisi di uno spazio geografico (problema particolarmente accentuato, poi, in questo libro, dove Shigematsu si sposta in continuazione nei dintorni di Hiroshima, alla ricerca di varie persone). Lo stesso discorso vale per i nomi dei protagonisti, per memorizzare i quali - o anche solo per distinguerli - occorre una particolare attenzione. Per quanto riguarda, invece, i "realia", questa edizione di "La pioggia nera", pubblicata nella collana di classici della letteratura giapponese di Marsilio, è corredata alla fine da un piccolo glossario e da un apparato di note esplicative, oltre che, all'inizio, da un'esauriente biografia di Ibuse Masuji.
un triste romanzo. è proprio questa narrazione calma che mi ha fatto più angoscia
Posted by: Yoshi | 21/08/2005 at 19:00
Mi ha convinto... lo leggerò.
Posted by: l'anodino Tabaqui | 22/08/2005 at 15:12
Mi ha convinto... lo leggerò.
Posted by: l'anodino Tabaqui | 22/08/2005 at 15:13