Ci sono giornate in cui ascolto musica in continuazione, spesso obbedendo a un impulso schizofrenico per le combinazioni che nascono, ma altrettanto spesso seguendo certi percorsi mentali che saprei districare solo io. In questi giorni ho ascoltato un cd che lui mi ha preparato, con una scelta di madrigali - per lo più di Claudio Monteverdi - e di arie da opere barocche. Il primo ascolto è stato piuttosto distratto: da profano assoluto conosco pochissimo e male la musica barocca - anche se in passato ho ascoltato un po' Bach e Handel - e volevo vedere come reagivo. Poi mi sono dedicato a un secondo ascolto dei primi tre madrigali monteverdiani e di un'aria di Handel (Tu, preparati a morire, da Ariodante). Al telefono gli dico che mi colpisce innanzitutto il contrasto tra il contenuto tragico dei testi - amori frustrati o impossibili, disperazione, afflizione e dolore - e la geometria perfetta di una musica molto sorvegliata come quella barocca, con le sue architetture fatte di variazioni controllate e regolari (una volta dissi a qualcuno che, se oggi Bach rinascesse, probabilmente farebbe musica elettronica: una battuta, ma nemmeno troppo). Questo contrasto crea una tensione evidente tra la forma musicale e il contenuto verbale, una tensione che mi rende piuttosto inquieto. Aggiungo infine che anche le parole che esprimono questa condizione dell'animo risultano, alla nostra sensibilità moderna, esagerate o eccessive - tanto più se le inseriamo nella geometria musicale barocca. Sembrano scimmiette che saltellano in una gabbia troppo stretta, se mi si consente il paragone sacrilego. Mi chiedo se questa sensazione sia il risultato di un cambiamento storico che ha subìto la nostra sensibilità e se ciò che oggi consideriamo retoricamente eccessivo era ai quei tempi un modo nuovo di esprimere il dolore e la pena d'amore e, in quanto tale, avesse l'accento della sincerità. Lui mi avverte che, comunque, si tratta di forme volutamente molto stilizzate. E' vero, ma oggi questa stilizzazione la avvertiamo molto di più e, a orecchie non allenate come le mie, sembra un linguaggio estraneo. Allora penso anche che, nell'espressione dei sentimenti e delle emozioni - o, per meglio dire, affinché consideriamo realistica e sincera l'espressione di tali sentimenti - siamo ancora degli inguaribili tardo-romantici. C'è dolore, c'è passione? Allora ci dev'essere il tumulto della forma, la tempesta, il fracasso, perché altrimenti rischiamo di scambiare quell'espressione per insincera o per formalistica. E magari è quello che invece a noi sembra così sincero a essere costruito e falso. Nel pomeriggio di ieri, poi, ho ascoltato la settima sinfonia di Dmitry Shostakovich (Leningrad), in cui vi sono passaggi esattamente del tipo che ho appena descritto: musica impetuosa che esprime la rivolta e l'eroismo, nel caso specifico dei cittadini di Leningrado che, nel 1941, dovettero resistere all'assedio della loro città da parte dei soldati nazisti. Questo fragore e questo impeto vengono immediatamente percepiti e assorbiti dalla nostra sensibilità, perché siamo abituati a questo modo di esprimere le grandi passioni dell'animo. E se Shostakovic avesse stilizzato di più il suo dolore, l'avremmo dunque percepito come insincero oppure no? O è sempre la vecchia pretesa della mimesi nell'arte?
Stamattina ho proseguito i miei ascolti "schizofrenici" e ho ascoltato - dopo che lei me l'ha scaricato e regalato - il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi. Non sono né un cultore né un conoscitore di musica sacra, ma l'ho apprezzato: mi è sembrato più drammatico dei madrigali di ieri (anche se lui, ancora, mi ha messo in guardia da certe letture troppo moderniste delle composizioni musicali barocche: non si può eseguire Monteverdi come se fosse Beethoven!). Concluso il Vespro, ho riascoltato - dopo anni che la ignoravo - la Messa Arcaica di Franco Battiato. Mi sono sforzato molto, ma non sono mai riuscito a farmi piacere veramente quella mezz'oretta di musica sacra contemporanea. Si apre con quattordici noiosissimi minuti di Kyrie Eleison (quattro note isolate su un paesaggio sonoro che, come mi diceva anni fa M.G., sembra "musica per aeroporti"), un Credo più movimentato, dove Battiato s'inserisce con la sua voce microfonata e la cui conclusione è un grappolo di accordi tipicamente battiatiani, e, infine, un Agnus Dei che sarebbe più corretto definire "Lagnus Dei", tanto è lamentoso. Dal sacro al profano: dopo il Vespro e la Messa è toccato a Snivilisation degli Orbital (perché, come mi disse A., io ho "sotto sotto un'anima da raver"). E ora, mentre sto scrivendo queste parole, mi accompagna Powaqqatsi di Philip Glass - che, detto per inciso, eseguirà tutta la trilogia dal vivo a Torino, al Lingotto, a settembre (se non sbaglio), ma io non ci sarò (troppa fatica organizzarmi).
1) te li scaricano, te li regalano: beato te, io me li devo comprare
2) Monteverdi barocco? mah...
Posted by: tato | 04/07/2005 at 23:10
E' scortese dire di no a chi mi vuole educare ;-)
Posted by: stefano | 04/07/2005 at 23:29