Vorrei parlare di due libri che non hanno nulla in comune tra di loro, scritti in due epoche e in due lingue diverse. O forse qualcosa in comune ce l'hanno, basta che mi sforzi un po' per trovarlo e non si tratterebbe soltanto del fatto di averli letti insieme, alternandoli come faccio sempre quando leggo. Entrambi sono romanzi tristi, per esempio... ma non voglio dilungarmi in preamboli inutili.
Il primo è The good soldier di Ford Madox Ford, pubblicato nel 1915 e inizialmente pensato con il titolo "The saddest story" - La storia più triste -, poi cambiato dall'autore per non respingere troppo i potenziali lettori. Il sottotitolo annuncia che il romanzo è il "racconto di una passione" e io, che Ford Madox Ford lo conoscevo soltanto di nome, l'ho affrontato perché Ma.S. - quand'ero a Londra l'anno scorso - mi ha spiegato che è uno dei romanzi più deprimenti che avesse letto. "E ho commesso l'errore - ha aggiunto - di leggerlo in vacanza. Mi ha rovinato la vacanza". Naturalmente esagerava: gli anglosassoni sono troppo pragmatici per coltivare lo stesso taedium vitae distillato dagli autori continentali o per indulgere in dolori troppo articolati e carsici. Il romanzo inglese privilegia il "plot" e la narrazione di una storia: quando avviene il contrario è piuttosto l'eccezione. Il buon soldato del titolo - ironicamente inteso - è il protagonista Edward Ashburnham, ricco inglese "malato di cuore" che con la moglie Leonora trascorre lunghi periodi di convalescenza in luoghi di cura in Francia e in Germania, dove incontra la coppia formata dagli americani Florence, ugualmente cardiopatica, e John Dowell, che è l'io narrante del romanzo. Ammalia la struttura compositiva del romanzo, fatta di ripensamenti, di un continuo andirivieni tra gli eventi con la conseguente dissoluzione delle coordinate spazio-temporali. Il proposito dell'io narrante è dichiarato fin dall'inizio: raccontare la storia come se fosse davanti a un caminetto, con tutte le esitazioni e le scoperte che si fanno nel momento stesso in cui si ricostruiscono gli eventi. Alla base della vicenda c'è una serie di tradimenti del "buon soldato" Edward, c'è il sottile disprezzo che si sviluppa tra coniugi quando sono sposati da troppi anni e c'è, soprattutto, la cappa di silenzio e di non detto che aleggia sulla realtà e, a poco a poco, la soffoca. Neanche all'io narrante va molto meglio, perché il suo matrimonio è completamente asessuato (la moglie soffre di cuore e scopare potrebbe esserle fatale, così almeno gli dicono i medici) e lui si riduce a farle da infermiere. La realtà che sta sotto alle convenzioni, però, è diversa: Florence diventa l'amante di Edward senza che il marito John ne sappia niente, ma con la tacita approvazione di Leonora. Il finale è tragico, ma anche la tragedia ha un retrogusto quasi banale che lascia in bocca un vago sapore di cenere. Florence ed Edward si suicidano, Leonora si risposa con un uomo ordinario e passabilmente fedele con il quale condurrà un'esistenza tranquillamente borghese e dal quale avrà un figlio - paradossalmente, comunica l'io narrante, è quella della donna la vicenda con la conclusione più "felice" - e John sposa Nancy Rufford, una ragazza che, affidata alle cure degli Ashburnham, si era innamorata di Edward. Peccato che, allontanata da questi, è scivolata nella follia, cosicché l'io narrante - morta la prima moglie - si ritrova ancora a fare da infermiere alla nuova consorte. Tutto questo minuetto crudele è raccontato da Ford Madox Ford con fredda perfidia - se si può chiamare perfidia uno sguardo lucido e incapace di illudersi troppo. Il secondo è Meduse, l'opera prima di un giovane autore italiano, Giancarlo Pastore. Se dovessi riassumerlo in una frase a effetto, direi che "Meduse" è un romanzo che parla di merda e solitudine. Il protagonista soffre di un disturbo misterioso - inspiegabile e inspiegato dai medici - che lo costringe a estenuanti sedute sul water, con conseguenti scariche diarroiche che, letteralmente, lo prosciugano. La sua malattia lo isola progressivamente dal mondo: la merda che lo invade, nonostante i suoi digiuni, esala il suo odore anche quando lui parla. A poco a poco si scava una frattura profonda tra lui e il mondo. La merda e la solitudine, dunque, non sono affatto due fenomeni disgiunti e forse il primo è anche il simbolo della seconda. Qui non si parla, infatti, della "solitudine buona", quella dell'individuo che prende coscienza di sé, ma si parla invece dell'isolamento subìto, della deriva dell'individuo in un mare di insensatezza e di autismo. Centrali sono le pagine in cui si elencano le progressive "rinunce" del protagonista ("di giocare col computer ho smesso", "di allacciarmi a internet ho smesso", "di fare sesso ho smesso", "di masturbarmi ho smesso", "di uscire ho smesso", "di cercare un fidanzato ho smesso", "di cercare una fidanzata ho smesso"). Una fenomenologia della desolazione, insomma. Alla condizione di uomo che si sta squagliando nei suoi stessi escrementi si associa l'impressione di perdita di sostanza e di rarefazione del corpo, tanto che il protagonista si sente trasformare in una medusa, acquea e traslucida. Man mano che il romanzo avanza, il percorso dell'uomo si fa sempre più allucinato, diventa una discesa agli inferi che - ovviamente - si spalancano proprio sotto il pavimento del cesso di casa sua. La parte più interessante di "Meduse" è però nello stile in cui è scritto: capitoli brevi, senza maiuscole, una scrittura rapsodica che non si ritrae davanti ai dettagli disgustosi ma mantiene allo stesso tempo una notevole compattezza. Pastore, insomma, non "sbrodola" come fanno altri scrittori più incensati e conduce con fermezza il romanzo anche nelle zone più buie. Ho letto molti romanzi "fastidiosi", ma ci sono pagine di questo "Meduse" che ho trovato ardue da sostenere - forse perché colpiscono qualche angolo cupo della mia psiche o qualche mio conflitto irrisolto. Sottolineo infine l'attenzione dell'autore ai valori della prosodia: anche senza soffermarsi più di tanto sulle singole frasi, balzano all'occhio, di tanto in tanto, qualche endecasillabo ("da qualche crepa riaperta riaffioro", completo qui di allitterazioni), o pagine che potrebbero essere salmodiate ad alta voce (come, per esempio, la pagina conlcusiva del romanzo).
Domani, compro Meduse.
Posted by: aitan | 20/06/2005 at 22:47
Ne avevi già sentito parlare?
Posted by: stefano | 20/06/2005 at 22:53
io ho trovato lo stile in cui e' scritto meduse assai interessante.
e' piuttosto riconoscibile ed aderente al tema trattato.
questo tratto "formale" l'ho ritrovato specialmente negli autori che pian piano vanno elaborando, nella loro produzione, una sorta di analisi del mondo molto precisa, quasi una "filosofia", un'interpretazione secondo una visione netta ed originale (penso ad Elfriede Jelinek, Thomas Bernhardt ma anche a Colette).
dunque, mi aspetto grandi cose da Pastore.
esagero?
Posted by: stupidboy | 20/06/2005 at 23:36
Anch'io sono curioso: mi domando che cosa farà un autore che parte già con un libro così. Spero non peggiori, ecco.
Posted by: stefano | 20/06/2005 at 23:56
devo aver letto anche un racconto breve di Pastore in qualche antologia gaia. ho le idee confuse a riguardo ma ricordo che mi deluse.
spesso la mia fiducia letteraria s'e' dimostrata malriposta.
da adolescente amai "perche' questo e' il brutto dell'amore" e immaginavo che Nicole Muller sarebbe diventata la versione moderna e un po' hippie di Virginia Woolf. invece - per quanto ne so - pubblico' un solo altro libro (interessante peraltro) e poi spari'... tornera'? chissa'...
ma anche in altri campi: pensavo che Kim Wilde sarebbe diventata piu' famosa di Madonna ed invece ora fa la giardiniera alla tv inglese del mattino!
oddio... sto andando off topic? ;-)
Posted by: stupidboy | 21/06/2005 at 00:08
Stefano, credo che lascerò questi libri a riposare su un appunto fino al termine dell'estate. Non volermene, il tuo raccontare è MOLTO convincente, e non saprei quale dei due scegliere per primo, ma... l'estate è l'estate e sono troppo vecchio per trascorrerla intristito:-)
Buona notte. Trespolo.
Posted by: Trespolo | 21/06/2005 at 01:10
Trespolo, non saprei biasimarti... Non voglio rovinare l'estate a nessuno :)
Posted by: stefano | 21/06/2005 at 01:25
John non sposa Nancy (e anche questo fatto, l'autore lo usa a pretesto per tirare un colpo alla chiesa anglicana ed alla società inglese) ... la cosa veramente importante de "Il buon soldato" è il suo ruolo di cerniera tra il romanzo ottocentesto (di cui mantiene gli ambienti e, forse, i tempi) e quello novencentesco attraverso la lingua innovativa, la narrazione "à rebours", l'introspezione psicologica ... veramente un gran romanzo scoperto, purtroppo, per caso ... ah, che dannazione l'essere autodidatta !!!
Posted by: antonio benedetti | 15/12/2008 at 15:13