Per una strana coincidenza, io e lei - nello stesso giorno e quasi alla stessa ora - abbiamo scritto qualcosa sui "matrimoni omosessuali" e quando lei mi ha chiesto che cosa pensassi dell'articolo che ha tradotto e postato sul suo weblog mi sono accorto che il mio post era quasi una involontaria (e inconsapevole) risposta. Poi sono andato a curiosare tra i commenti al suo post e ne ho trovato uno, lasciato da lui, che dice: "Personalmente non capisco come la rivendicazione di un diritto possa lasciare perplessi. Io credo che l'assunto di base qui sia sbagliato: e cioè il ritenere che l'essere omosessuale corrisponda ad "essere progressista", quasi che l'omosessualità non sia uno "stato di natura", ma un fatto sociale, se non addirittura politico. Sarebbe come dire, per contro, che essere eterosessuali corrisponde, "per statuto", ad essere conservatori". Sono ovviamente d'accordo sulla conclusione - ovvero che la rivendicazione di un diritto, ché di questo si tratta, non deve lasciare perplessi -, ma il resto del commento mi serve da puntello per precisare il mio discorso. Il mio disagio deriva dal concetto stesso di "stato di natura" applicato all'omosessualità e all'eterosessualità. Io credo che entrambe siano naturali e non lo siano allo stesso tempo: la contraddizione è solo apparente. Ritengo infatti che sia indifferente ricercare una presunta "naturalità" in una forma di sessualità, qualunque essa sia, perché questo presuppone un discorso essenzialista che io rifiuto. Nell'ambito dell'umano non esiste una natura data che non sia immediatamente superata dalla cultura dell'essere umano - intesa in senso lato - che, a sua volta, diventa la sua vera natura. La natura dell'uomo, insomma, è nell'essere un animale culturale che aggira le limitazioni della natura esterna, o delle contingenze. L'ambiente e le attività che l'individuo si crea non sono "naturali", nel senso che sono ineludibilmente così, ma sono modificati in continuazione dalla persona che li pensa e li progetta, proiettandovi dentro anche la sua volontà e la sua libertà. (L'edificio in cui una persona abita non è propriamente assimilabile a un formicaio, come mi ribatteva, per amore di discussione, qualcuno proprio ieri). L'essere umano, insomma, può pianificare di modificare l'esistente. Questa caratteristica si applica a tutte le esperienze umane e dunque non vedo perché non si debba applicare anche alla sessualità. La sessualità umana è cultura. E' inutile cercare una spiegazione o una giustificazione (e già cercare la prima significa prepare il terreno alla seconda) - ontologiche o etiche, non importa - a una forma di sessualità piuttosto che a un'altra ricorrendo all'argomento della natura. Per questo motivo detesto qualsiasi approccio geneticista all'omosessualità: l'omosessualità esiste, i comportamenti omosessuali esistono, le persone che si definiscono omosessuali esistono, i legami tra persone dello stesso sesso esistono e tanto basta affinché ne discendano diritti o rivendicazioni di diritti. Argomentare che l'omosessualità è "naturale" - al pari di argomentare che l'eterosessualità è "naturale": si intendano i due termini, omosessualità ed eterosessualità, in senso assolutamente neutro e si privi il concetto di "naturale" di tutte le sovrastrutture morali e religiose con cui lo caricano coloro che lo sfruttano per i loro fini politici, oppressivi e/o reazionari - significa aderire a una visione "essenzialista" dell'uomo, significa ritenere che esistano un' "essenza omosessuale" e un' "essenza eterosessuale" e, quindi, che l'essenza della persona viene prima della sua concreta esistenza, che lui stesso plasma giorno dopo giorno. (E' evidente che esistono fatti inevitabili: si nasce, si invecchia, si muore - ma non di questo intendo occuparmi in questo momento). Ora, io non credo affatto alle "essenze", per lo stesso motivo per cui non credo in Dio e non credo nell'anima. Il concetto di "natura" applicato all'ambito della sessualità è estremamente ambiguo perché coloro che lo usano in una discussione credono di parlare della stessa cosa ma in realtà si riferiscono sempre a realtà diverse e, senza nemmeno accorgersene, oscillano in continuazione da un significato all'altro: la "natura" umana in quanto essenza (che, ripeto, non è data a priori una volta per tutte), la "natura" in quanto complesso di forze esterne alla persona (del genere: la forza di gravità e le "leggi della natura" - che poi sono semplicemente leggi statistiche), la "natura" intesa come tutti gli esseri viventi che non sono l'essere umano (e così si arriva al ridicolo di usare l'argomento, a doppio taglio, secondo cui anche "in natura" - ovvero tra gli animali - ci sarebbero casi di omosessualità). Per questa ragione io evito sempre di richiamarmi alla "natura", in qualunque senso la si voglia intendere, e soprattutto evito di usare questo concetto sfuggente per fondare un sistema etico, del tipo: ciò che è naturale è buono, ciò che non lo è è invece cattivo, con la conseguenza che, siccome una cosa sarebbe "naturale", andrebbe difesa con la forza della legge. Ma, tornando al commento che ha ispirato queste riflessioni, vorrei dire che, se anche un individuo potesse decidere di essere omosessuale o eterosessuale - poi preciso meglio -, questo sarebbe indifferente ai fini dell'approvazione di una legge che tuteli i suoi diritti in quanto omosessuale (o eterosessuale). Una legge sui matrimoni gay è indispensabile non perché l'omosessualità è "naturale", ma perché gli individui sono liberi, e in quanto individui liberi compiono delle scelte, e in quanto individui che compiono delle scelte agiscono politicamente (perché scegliere significa già essere animali politici, non dimentichiamolo). Ciò che sta dietro a queste scelte è assolutamente irrilevante ai fini di una legislazione "progressista": è questo che andrebbe detto sulla questione specifica dei matrimoni gay. E quindi, sì, per ribaltare quanto detto nel commento sopra citato: l'omosessualità, al pari dell'eterosessualità, non è uno "stato di natura", ma è un fatto sociale, culturale e politico. (Riguardo al "decidere di essere omosessuale o eterosessuale", penso che nessuno - al di fuori dell'individuo interessato - abbia il diritto di indagare sui motivi di un legame: al fine della legge dello stato conterebbe solo la forma visibile, per così dire, del rapporto, se questa non è stata imposta contro la volontà dell'individuo che stipula il contratto di matrimonio. Io posso scegliere di trascorrere la mia vita con una donna, per dire, per pura e semplice solidarietà, per amicizia o per allegria. Oppure Tizio, impenitente "sventrapapere", potrebbe decidere di vivere con il suo migliore amico e invecchiare con lui, perché con lui ha un'intesa e una complicità che non ha con nessun altro. Nel primo caso io stipulerei un "matrimonio eterosessuale", nel secondo un "matrimonio omosessuale": qualcuno ha ancora voglia di menarsela con la "natura eterosessuale" o la "natura omosessuale"?)