Quando dico "farò" e ogni volta che uso questo tempo verbale confesso implicitamente la mia sconfitta. Perché non lo uso in modo innocente, puramente denotativo, ma lo carico di un'aspettativa. Il mio "farò" mostra, in negativo o come un gemello siamese che non sia stato partorito, l'assenza di un "faccio", cioè di un tempo presente che non si sta realizzando ora. Quel futuro è la traduzione, nel linguaggio, di un differimento dell'esperienza: rimandando la vita a un tempo a venire, non sto vivendo ora. O, per esprimere lo stesso concetto con la chiarezza di cui gli sono debitore, non sto vivendo con coscienza il momento presente. Io sono quindi nel mondo, ma senza la mia coscienza di me nel mondo: ci sono, ma allo stesso tempo mi fuggo e mi proietto nel futuro, dicendo che "sarò" o "farò" qualcosa che non "sono" e non "faccio" ora. La mia vita si sta vivendo senza di me, perché la coscienza è spostata e asincrona rispetto all'esperienza. La mia coscienza è con ciò che ancora non è e un'azione futura - virtuale e quindi inesistente - occupa il mio spazio percettivo e la mia mente. Per me, che credo che la vita abbia un valore - un valore, e non un senso in termini di finalità, perché qui temo che non ne abbia alcuna - solo nella coscienza del soggetto che la vive e che detesto tutte le forme di esistenza che mirano a privare l'individuo della coscienza di sé, l'accumulo di queste declinazioni verbali al futuro è uno dei segnali evidenti della mia sconfitta. Qualcuno si consola chiamandola speranza o progetto di vita, ma io oscillo tra l'illusione che lenisce le ferite della consapevolezza e l'amarezza che deriva dal constatare la nostra imperfezione, ovvero la nostra impossibilità di essere sempre presenti a noi stessi e vivere in attenzione.
Anche Pascal aveva detto la sua in proposito... Bel post comunque, mi riconosco moltissimo
Posted by: cristina | 14/02/2005 at 14:23
non per niente comunque, il tempo "futuro" si è sviluppato in quasi tutte le lingue da un "presente desiderativo" tanto che spesso le due accezioni coincidono e sono (quasi) intercambiabili
Posted by: aelred | 14/02/2005 at 14:37
Grazie a tutt'e due... Almeno vedo che non sono il solo a coltivare certe ossessioni!
Posted by: stefano | 14/02/2005 at 14:55
Io che di professione faccio la procrastinatrice senior e la executive lambiccatrice, trovo molto interessante questa riflessione a partire da un tempo grammaticale.
A margine, ricordo come durante i lettorati di inglese, quando qualcuna di noi faceva l'eroina e si immolava sull'altare dell'esercizio da svolgere, diceva in italiano "Faccio io" e John correggeva: "I'll do it".
Ricordo male? L'inglese ha un futuro più volitivo? (certo, non è l'unica forma di futuro - qui mi caccio da sola nel ginepraio, lo sento diggià)
Posted by: FF | 14/02/2005 at 16:18
O forse tutto è meno cerebrale (e ancor meno verbale) ed il futuro è un semplice futuro...
Posted by: Law | 14/02/2005 at 19:34
Sì bellissimo questo post. Anche io condivido questa ferita della distrazione dal presente ...
Posted by: Marta | 14/02/2005 at 20:03
una comparazione dei diversi modi che hanno le lingue per esprimere il futuro sarebbe molto interessante
Posted by: Yoshi | 14/02/2005 at 20:37
Non provocare, Yoshi, perché potrei farlo (in futuro, per l'appunto)
Posted by: stefano | 14/02/2005 at 22:20