E’ difficile trovare, quando si ha a che fare con autori tedeschi del secolo appena trascorso, qualcuno che abbia una biografia "ordinaria": in qualche modo portano tutti, nelle linee della loro vita, i segni della Storia tedesca. Wolf Biermann è uno di questi ed è, inoltre, uno di quei personaggi che hanno letteralmente spaccato in due – anche in senso temporale – il mondo culturale della DDR, a metà degli anni settanta.
Wolf Biermann è poeta e cantautore. Nasce nel 1936 ad Amburgo, il padre viene ucciso ad Auschwitz nel 1943 perché comunista e oppositore del regime nazista. Anche Biermann è comunista e lo resta per tutta la vita, in modo serio e sistematico. Infatti, nel 1953 si trasferisce dalla Repubblica Federale Tedesca nella Repubblica Democratica Tedesca, a Berlino Est, dove studia alla Humboldt-Universität, lavora come assistente regista al Berliner Ensemble, e, dai primi anni sessanta, comincia a dedicarsi a quella che diventerà la sua specialità: scrivere e cantare canzoni. Canzoni di protesta, canzoni impegnate, che poi intona con la sua voce aspra, accompagnandosi solo alla chitarra che suona con gesto deciso e quasi rabbioso (non è, lo disse lui stesso in un'occasione, un novello Georges Brassens). Incide i primi dischi, incomincia a esibirsi in pubblico… e diventa subito sgradito alle autorità della DDR, da cui gli arrivano i primi divieti. L’atteggiamento delle autorità resta tuttavia piuttosto ambiguo: Biermann è e resta comunista e le sue critiche alla Repubblica Democratica e alla Stasi sono critiche da sinistra, non di certo di natura conservatrice o reazionaria. Senza contare poi l’imbarazzo da parte delle autorità – specialmente dopo che, nel 1972, la DDR viene accolta tra le Nazioni Unite e riconosciuta come stato sovrano – di perseguitare un personaggio il cui padre aveva conosciuto i campi di concentramento! Ma il momento che segna la svolta (e la segna anche per la vita culturale del paese) giunge nel novembre 1976, quando l’IG-Metall, il sindacato tedesco-occidentale, lo invita a una tournée nella Repubblica Federale, che parte con un concerto a Colonia. Ed è durante la sua permanenza che il governo tedesco-orientale ne approfitta per togliergli la cittadinanza e impedirgli di rientrare nella DDR (è la cosiddetta "Ausbürgerung"). La decisione rappresenta una cesura perché il governo della DDR che contava sul silenzio-assenso e non si aspettava grandi scandali deve invece fare fronte a una lettera pubblica di protesta firmata da una decina intellettuali del suo stesso paese, tra cui Christa Wolf, Stefan Heym, Sarah Kirsch, Stephan Hermlin... Da quel momento il rapporto degli intellettuali con la DDR diventa sempre più problematico e le critiche sempre meno velate.
Naturalmente, Wolf Biermann ha continuato a cantare e incidere dischi. Io scoprii le sue canzoni prendendo in prestito i dischi di vinile e i nastri che metteva a disposizione il Goethe-Institut di Milano, finché un giorno qualcuno decise di eliminare tutti i dischi e sostituirli con dei cd – tra i quali non vi era più nulla di Biermann – e così io non potei più riascoltarlo o duplicarlo su nastro. Anche le ricerche in tal senso nei negozi tedeschi non furono molto fruttuose: ricordo un commesso che, alla mia richiesta se avessero qualcosa di Biermann su cd, mi indicò uno scaffale che, a un esame più ravvicinato, si rivelò essere dedicato a Herbert Grönemeyer.
Un paio di anni fa, però, dopo una lunga assenza, è stato pubblicato un doppio cd, Lieder vom preussischen Ikarus, una raccolta che contiene le cose migliori di Wolf Biermann. L’ho comprato a Berlino e, ascoltando la sua voce ruvida dopo tanto tempo, mi sono ritrovato a canticchiare insieme a lui stralci di canzoni che pensavo di avere dimenticato. Ho ritrovato, per esempio, la malinconica Berlin du deutsche deutsche Frau, una bella canzone d'amore dedicata a una città, Berlino – il cui testo ho riprodotto pochi giorni fa –, oppure Warte nicht auf bessre Zeiten (Non attendere tempi migliori), in cui Biermann dichiara la sua fede in un socialismo attivo, fattivo e non temporeggiatore e che, al Forum per la storia contemporanea di Lipsia, quando l'ho visitato io settimana scorsa, veniva ripetuta in sottofondo proprio nella sezione dedicata al periodo della Ausbürgerung. Fortunatamente questo doppio cd comprende alcune delle canzoni che mi piacquero di più quando lo scoprii, canzoni in cui l’impeto politico si confonde e confluisce con la riflessione personale, con i ricordi, con la storia della Germania, come Deutschland – ein Wintermärchen (Germania, una fiaba invernale), che s’ispira a uno dei modelli più alti di Biermann, Heinrich Heine, oppure Und als wir ans Ufer kamen (Quando giungemmo a riva) che, incisa dal vivo a Colonia, è una dichiarazione di fedeltà al progetto della DDR, dove Biermann canta: "Ich möchte am liebsten weg sein / Und bleibe am liebsten hier / - am liebsten hier" – Vorrei andarmene, ma preferisco restare qui, restare qui – salvo aggiungere, ironicamente, davanti al pubblico della Repubblica Federale: "… aber hier ist natürlich nicht hier, hä!" (Ma "qui" non è qui, naturalmente!). Ci sono canzoni che inneggiano all’utopia di un mondo migliore, come Ein neues Lied, ein besseres Lied (Una canzone nuova, una canzone migliore), canzoni antimilitariste come Der deserteur - Il disertore: è questa la versione che Biermann fa della famosissima canzone di Boris Vian - ("Monsieur, ich geh nicht hin / Ich will nicht diese Merde / Ich leb nicht auf der Erde / Damit ich Mörder bin": Signore, io non ci vado, non voglio questa merda, non vivo sulla terra per essere un assassino), o la sua dolcissima versione, in tedesco, di Le temps des cerises, la canzone che divenne il simbolo della Comune di Parigi nella seconda metà dell’Ottocento (e che si può confrontare con la versione che ne fece Juliette Gréco). Mi spiace soltanto che la raccolta non comprenda nulla di un album intitolato VEBiermann, in cui, negli anni ottanta – credo –, Biermann reincise alcuni dei suoi brani più vecchi, quelli composti alla fine degli anni cinquanta, e in cui si divertiva a creare quasi dei bozzetti di vita che raffiguravano la quotidianità del suo paese di allora: ricordo ancora, per citarne un paio, Das Lied vom Traktoristen Kalle – la canzone di Kalle il trattorista –, di cui ancora oggi riesco a cantare qualche verso, o quella dedicata alla Verkäuferin im Konsum, la commessa del "Konsum", il negozio di stato di alimentari della DDR.
Per concludere riporto i testi di due canzoni di Wolf Biermann: la prima, una specie di ninna-nanna sconsolata, potrebbe essere dedicata a tutti quelli che non si accontentano e che pensano che la vita debba offrire più di qualche misera consolazione; la seconda, invece, è, molto concretamente, il racconto di una visita del cantautore alla tomba di Heinrich Heine, nel cimitero parigino di Montmartre.
LIED VOM DONNERNDEN LEBEN (1975)
Das kann doch nicht alles gewesn sein
Das bisschen Sonntag und Kinderschrein
das muss doch noch irgendwo hin gehen
hin gehen.
Die Überstunden, das bisschen Kies
Und aabns inner Glotze das Paradies
da in kann ich doch keinen Sinn sehn
Sinn sehn.
Das kann doch nicht alles gewesn sein
Da muss doch noch irgend was kommen! Nein
da muss doch noch Leebn ins Leebn
eebn
He, Kumpel, wo bleibt da im Ernst mein Spass?
Nur Schaffn und Raffn und Hustn und Hass
und dann noch den Löffl abgebn
gebn
Das soll nun alles gewesn sein
Das bisschen Fussball und Führerschein
das war nun das donnernde Leebn
Leebn
Ich will noch 'n bisschen was Blaues sehn
Und will noch paar eckige Rundn drehn
und dann erst den Löffl abgebn
eebn.
AUF DEM FRIEDHOF IN MONTMARTRE (1979)
Auf dem Friedhof am Montmartre
Weint sich aus der Winterhimmel.
Und ich spring mit dünnen Schuhen
Über Pfützen, darin schwimmen
Kippen, die sich langsam öffnen
Kötel von Pariser Hunden
Und so hatt’ ich nasse Füße
Als ich Heines Grab gefunden.
Unter weißem Marmor frieren
Im Exil seine Gebeine
Mit ihm liegt da Frau Mathilde
Und so friert er nicht alleine.
Doch sie heisst nicht mehr Mathilde
Eingemeisselt in dem Steine
Steht da gross sein grosser Name
Und darunter bloss: Frau Heine.
Und im Kriege, als die Deutschen
An das Hakenkreuz die Seine-
Stadt genagelt hatten, störte
Sie der Name Henri Heine!
Und ich weiss nicht wie, ich weiss nur
Das: er wurde weggemacht
Und wurd wieder angeschrieben
Von Franzosen manche Nacht.
Auf dem Friedhof am Montmartre
Weint sich aus der Winterhimmel.
Und ich spring mit dünnen Schuhen
Über Pfützen, darin schwimmen
Kippen, die sich langsam öffnen
Kötel von Pariser Hunden
Und so hatt’ ich nasse Füße
Als ich Heines Grab gefunden.
(Naturalmente la mia traduzione è letterale, e non rispetta in alcun modo i valori metrici e la cantabilità dell’originale… ma è giusto per fare avere un’idea a chi non conosce il tedesco).
(AL CIMITERO DI MONTMARTRE // Al cimitero di Montmartre / piange il cielo invernale / e io, con le mie scarpe leggere, salto oltre le pozzanghere / in cui nuotano mozziconi che si aprono lentamente / e cacche di cani parigini / E così avevo già i piedi bagnati / quando ho trovato la tomba di Heine. // Sotto il marmo bianco gelano / in esilio le sue ossa / e con lui giace la signora Matilde / così lui non gela più da solo. / Ma lei non si chiama più Mathilde / scolpito lì nel marmo / è grande il suo gran nome / e sotto soltanto: Signora Heine // E durante la guerra, quando i tedeschi / inchiodarono la città sulla Senna / alla croce uncinata / li disturbava il nome di Henri Heine. / E io non so come, ma so solo / che venne cancellato / però i francesi lo riscrissero una notte. // Al cimitero di Montmartre / piange il cielo invernale / e io, con le mie scarpe leggere, salto oltre le pozzanghere / in cui nuotano mozziconi che si aprono lentamente / e cacche di cani parigini / E così avevo già i piedi bagnati / quando ho trovato la tomba di Heine.)
(CANZONE DELLA VITA FRAGOROSA // Non può essere tutto qua / un po’ di domeniche e gli strilli dei bambini / deve andare ancora da qualche parte / da qualche parte // Gli straordinari, un po’ di soldi / e poi, la sera, in paradiso davanti alla tivù / non vedo che senso ha // Non può essere tutto qua / Deve arrivare qualcos’altro! No / dev’esserci altra vita nella vita / appunto // Ehi, compagno, dove è finito il mio divertimento, sul serio? / Solo faticare, accumulare, tossire, odiare / e poi tirare le cuoia / tirare. // Non può essere tutto qua / un po’ di pallone e la patente / e questa sarebbe la vita fragorosa / la vita? // Voglio vedere ancora un po’ d’azzurro / e fare ancora due salti maldestri / e solo allora tirare le cuoia / appunto.)
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