Sono fermo, in bicicletta, a un semaforo rosso in corso Buenos Aires, angolo via Vitruvio, quando vedo arrivare verso di me un ragazzo, rotondetto e saltellante, con in mano una cartelletta.
- Posso farti qualche domanda?
Oh numi, penso, ci siamo: ecco qualcuno che vuole vendermi qualcosa. Annuisco e penso al precariato e alla flessibilità nelle società a capitalismo avanzato. Penso anche alle quindici sigarette milanesi che il ragazzo si dev’essere fumato restando a quell’angolo di strada.
- Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Esito… Che cosa posso rispondergli? Gli dirò la verità.
- Veramente… sto leggendo un libro in tedesco. “Nachruf”, di Stefan Heym.
(Non è perché voglio tirarmela, ma leggo in tedesco come se leggessi in italiano, quindi non gli sto rivelando nulla di speciale).
- Ah… E leggi anche in italiano? Che libro hai letto in italiano?
- Sì, leggo anche in italiano… anche saggi. (Qui mi trattengo: non mi va di dovergli sillabare “Czeslaw Milosz”, che poi sarebbe l’ultimo autore letto in italiano).
- Ma ti capita di regalare libri… che so, per Natale o per un compleanno?
- Guarda, io regalo libri soltanto alle persone che conosco bene e di cui conosco i gusti, e non regalo libri a caso. Per dire, non regalerei un romanzo della Tamaro al mio migliore amico. (Ma qui si può sostituire la scrittrice triestina con un qualsiasi altro nome).
- Dalle tue risposte deduco che fai letture piuttosto impegnative…
Mi schermisco:
- Ma no, no… leggo anche stupidaggini, non credere, che ne so, libri gialli…
E qui mi viene da citare solo Giuseppe Genna, che non è esattamente Agatha Christie. Lui desiste dopo avermi fatto il nome di Wilbur Smith e avermi visto arricciare il naso come se mi ci avesse messo sotto un piatto di pesce putrido. Allora mi fa il nome di Jonathan Franzen, chiedendomi se mi può interessare. Mi lancio in una specie di critica socio-letteraria:
- Guarda, detesto tutti questi autori americani che vengono lanciati con una grande pubblicità, come se negli Stati Uniti nascesse un genio al mese…
- Be’ – dice lui – però Franzen lo pubblica Einaudi…
- Sì, ma ormai Einaudi pubblica di tutto. Einaudi è Mondadori, Mondadori è B.erlusconi e quindi…
Lascio che sia lui a concludere il sillogismo. Invece mi domanda:
- Posso chiederti dove lavori?
Gli dico che lavoro per la tale casa editrice e collaboro per le talaltri case editrici… e la faccio breve dicendogli che ho già sconti su molti libri, perché poi è quello che lui stava cercando di vendermi per strada. E infatti arriva il suo coming out:
- Io rappresento quella che una volta era…
E nomina un noto marchio di vendita di libri per corrispondenza, al che io ribatto:
- Sì, non era del gruppo Bertelsmann?
Gli cade la mandibola:
- Ma tu come fai a saperlo?
- Te l’ho detto: lavoro in ambito editoriale.
E poi parto con la mia filippica: questo tipo di vendita (per corrispondenza, con il cataloghino, con gli acquisti obbligati ogni due o tre mesi) va bene se sei una vecchia signora sprovveduta e sfaccendata che abita sul cucuzzolo di una montagna, ma, suvvia, a Milano, con tutte le librerie che ci sono, e poi c’è internet, se mi serve un libro, lo prendo lì, figuriamoci…
- Ah, va bene… grazie… certo che se però li incontrassi tutti come te...
- Non preoccuparti, mi rendo conto di quanto sia duro il lavoro che fai.
Il semaforo è diventato verde, lo saluto, parto e lascio che vada ad abbordare qualcun altro.
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