Finalmente, dopo mesi che se ne è parlato e letto un po’ dappertutto, dopo che è uscito ovunque in Europa, dalla Spagna alla Polonia, dopo averlo evitato in Svizzera e in Germania perché mi ero ripromesso di andare a vederlo con M.S. e V., ieri sera abbiamo finalmente assistito – purtroppo in italiano, e non per volontà mia, giacché io facilmente mi piego alle esigenze altrui – alla proiezione di La mala educación di Pedro Almodóvar, in cartellone anche a Milano. Non intendo farne un’analisi o scriverci sopra una recensione: non sono in grado di farlo, non sono un esperto di cinematografia. Devo solo premettere che ci sono andato con molti pregiudizi, nel senso letterale del termine: giudizi formati in precedenza su qualcosa di cui avevo avuto fin troppe informazioni senza poter verificare di persona. A partire dall’argomento centrale, il primo a essere trapelato quando il film era ancora in lavorazione, argomento che avevo trovato assai allettante: i misfatti della chiesa cattolica ai danni dei ragazzini a essa affidati per la loro educazione, fino ad arrivare al protagonista, Gael García Bernal, bellissimo e sensuale, scoperto in “Y tu mamá también” e “Amores perros” quando non era ancora diventato l’ “everybody’s darling” che è oggi. Poi le opinioni di molti che hanno visto il film, dai primi, in Spagna, e l’hanno trovato un po’ deludente e inferiore rispetto al resto della produzione almodovariana… Io non sono un ammiratore scatenato del regista spagnolo, non ricordo a memoria intere scene o pezzi di dialoghi dei suoi film: alcuni li ho visti al cinema, altri su videocassetta, ma, fatte salve alcune eccezioni, ne ho dimenticato l’intreccio e ho serbato soltanto il ricordo dell’ “atmosfera” generale delle varie pellicole. Credo che Almodóvar abbia raggiunto il vertice con Tutto su mia madre, dove è riuscito a dare fondo alla sua anima melodrammatica senza diventare però sentimentalistico e scontato o assurdo. (Che le sue trame, per quanto intricate e barocche, restino comunque credibili ha per me del miracoloso). Ogni volta che rivedo questo film, mi commuovo, proprio come certe vecchie signore che si riguardano per la ventesima volta i film di Amedeo Nazzari e devono stringere il fazzoletto in mano. Parla con lei, invece, mi aveva deluso parecchio. L’avevo trovato di maniera: mi pareva davvero Almodóvar che stava facendo il verso a se stesso. Che ora qualcuno dicesse che La mala educación non è all’altezza di Parla con lei mi lasciava perplesso. E invece… Pur non raggiungendo il livello, per me insuperato, di Tutto su mia madre, è davvero un bel film. Forse avrei preferito se il buon Pedro non avesse appesantito tanto la linea narrativa, dandole quella struttura a scatola cinese (o a matrioshka), con l’idea, per nulla nuova, del film dentro il film, e poi mi sarebbe piaciuto che la sua denuncia della crudeltà dell’educazione cattolica fosse stata ancora più netta, più dura. Il mio senso di giustizia (o di vendetta?) avrebbe voluto assistere al crollo e alla disfatta definitiva di un padre Manolo rimasto ancora sacerdote, e non ormai spretato, invecchiato e bolso. Ma questa, ovviamente, è una pretesa ridicola e non si può giudicare un’opera d’arte in base a ciò che si vorrebbe fosse stata. C’è chi ha scritto – non so più dove – che qui Almodóvar diventa manieristico (un film “alla maniera di Almodóvar”). Non saprei: sobrio non lo è mai stato, ma io mi limito a constatare che qui ci sono, come in altri suoi film, certi stilemi, certe immagini tipicamente almodovariane, come, per esempio, i protagonisti che leggono le sceneggiature o i racconti inquadrati dalla cinepresa mentre la voce in sottofondo (nella traduzione italiana, e vabbe’) ne declama il testo, oppure i primi piani sulle tastiere delle macchine per scrivere, e poi, naturalmente, gli immancabili travestiti.
Comments