I - Ieri
Dovrei smettere di pensare che il caso presieda a tutto e che invece vi sia un ordine imperscrutabile che governa ciò che mi accade? Non vedo da anni un certo ragazzo e all'improvviso lo incontro di nuovo. Ieri notte decido, dopo mesi di assenza, di tornare a battere un certo antro oscuro dove si radunano gli uomini in cerca di reciproco sollievo sessuale e finisco per sodomizzare un altro ragazzo che avevo già sodomizzato un paio d'anni prima, più o meno nello stesso periodo in cui conoscevo anche quell'altro appena riemerso dalla lunga assenza. Sono stupito, tanto più che già allora notai che li accomunava l'appartenenza al medesimo ceppo linguistico - meridionale uno, occidentale l'altro - e scoprii poi che si erano persino conosciuti, in ambito professionale e non erotico e si erano trovati antipatici a prima vista. E ora, nel giro di due giorni, sono rientrati nella mia vita. Devo dunque pensare che davvero non esiste il caso e che le scintille neuronali del mio desiderio scatenino quel dettaglio irrilevante che è la realtà? (A pensarci bene, una terza cosa hanno in comune: l'iniziale del nome. D.)
Del luogo non c'è nulla da riferire: è esattamente come tutti gli altri dello stesso tipo. Cambiano le dimensioni, il prezzo d'ingresso, ma non cambia l'irritazione che provocano su di me. Ho forse corde troppo sensibili, ma ormai non sopporto più il fumo che ristagna per la mancanza di adeguati impianti di aerazione, non tollero più le paratie che s'innalzano nei punti più impensati e, ovviamente, più bui (col rischio di frantumarsi il setto nasale in un momento di distrazione), mi urta la scarsa urbanità di ceffi che, schiacciati nei passaggi più scuri, ti mettono le mani addosso anche quando tu non stai vedendo niente di niente ed è evidente che procedi barcollando, a tentoni. E, infine, mi domando come sia possibile che sia quasi sempre io quello che fornisce i preservativi, e che cosa succederebbe se per una volta non li avessi con me, poiché la direzione incassa una congrua somma di denaro per fare entrare il cliente ma non mette a disposizione, come fanno in altri paesi più civili, nemmeno un avanzo di preservativo - o, quando lo fa, ne dà uno, razionato, e se può cerca di risparmiarsi persino quello.
Mi sono trascinato fuori dalla mia grotta per contrastare la pigrizia che si stava impadronendo di me, perché mi sono detto che non dovevo soccombere al turpe vizio solitario che mi avrebbe reso ancor più cieco - collaborando a questo fine con lo schermo dei computer che frequento - e che dovevo cercare di reagire. Ero abbastanza carico di desideri sessuali potenzialmente forieri di grandi scopate, ma non appena ho messo piede nel locale mi è passato tutto e ci è voluta un'oretta prima che una qualche forma di libido si risvegliasse dal torpore e tornasse a "scuotere le mie membra". Ero pronto a prenderlo in quel posto, ma anche stavolta ho dovuto cedere e soddisfare, giustappunto, la voracità dell'amico ritrovato, disperdendo quantità ingenti di sudore. Quattro chiacchiere al bar: constato che lui ha lo sguardo luminosissimo e mi domando se sia sempre così o se sia l'euforia postorgasmica e proctoclastica a dargli rinnovato lucore, e, allo stesso tempo, mi arrovello nel tentativo di fare conversazione e perforare anche la sua riservatezza, che attribuisco alle sue origini geografiche. Eppure è lui che mi chiede il numero di telefono.
Quando esco, verso le due - perché mi è passata la voglia di fare il bis o, zeus me ne guardi, assistere allo strip-tease che probabilmente avrebbero offerto dopo le due e che, ne sono sicuro, mi avrebbe assestato il colpo di grazia - ha cominciato a piovere, la strada - che qualcuno aveva spiritosamente battezzato la gay street milanese - è ancora piuttosto animata, e davanti a un altro bar staziona una volante dei carabinieri, con due agenti che stanno controllando alcune persone all'uscita.
II (Oggi)
Da giorni sono oberato da lavori da concludere, eppure continuo a ritagliarmi spazi in cui vedere le poche anime con cui ancora intrattengo una qualche relazione umana. Oggi pomeriggio sono andato a trovare D., colpito all'età di trentatré anni da una nota malattia infantile, trasmessagli da S. che l'ha avuta un mesetto fa. Nel loro appartamento, ancora più del solito, c'è il buon profumo delle vecchie cose antiche. Chiacchieramo un po' finché S., spossato, si butta a letto e si addormenta, e D. decide, alle quattro di pomeriggio, di mangiarsi una minestrina di porri. E' giunta l'ora di andarmene, dico, perché ho promesso ad Avi, il fedele commentatore - che cito per esteso perché so di soddisfare così una sua vanità - di fare visita alla sua dimora, in un corso milanese assai trafficato. Salgo in ascensore al quarto piano, mi siedo sulla panchetta che c'è nella cabina - un vezzo da signore attempate, suppongo - e m'invento un'ascesa sullo strapuntino di un aereo o fingo di essere sul trenino a cremagliera che da Trieste sale a Villa Opicina. Avi mi apre la porta a vetri che dà su un ballatoio tipicamente milanese che, alla mia sinistra, cade sul cortile interno. "Non devo guardare, non devo guardare" gli dico. Soffro di vertigini, spiego, o forse, aggiungo, non voglio subire la tentazione del suicidio troppo da vicino. Non immaginavo una casa diversa, devo dire, da quella che vedo, piena di libri, anche se nello studio che si affaccia sul corso pare sia riuscito a compiere il miracolo di riempirlo di tomi e dare comunque l'impressione che lo spazio sia ancora vuoto. Qui e là occhieggiano immagini di uomini più o meno nudi, ma non condividiamo gli stessi gusti, lui più attratto dalla bestia umana, io dall'androgino (e infatti farà una facchia schifata quando più tardi per strada, a mo' di campione delle mie fantasie erotiche, gli mostrerò un ragazzetto che cammina aggrappato alla sua fidanzatina). Nello studio - che ha le dimensioni di un salone - mi colpiscono un paio di mezze pareti bianche che, per la loro nudità, risaltano e formano un contrasto con le librerie. Sfilo un romanzo in ceco, accanto a volumi di grammatica ceca, e gli dico: "Ma hai studiato anche il ceco? Non mi ricordavo". Lui mi dice che, è ovvio, se sai il russo, il serbo-croato e il polacco non è difficile studiare qualche rudimento di ceco. Annuisco, ma in realtà non ricordavo nemmeno che avesse studiato polacco e non lo dico, perché, del resto, è difficile rimanere aggiornati e tenere il passo con chi ha un'attività cerebrale che viaggia a velocità supersoniche rispetto a quelle di noi altri miseri umani. Lo studio e la camera da letto si affacciano direttamente sul corso: vi butto un occhio. Ho la capacità di invidiare le case degli altri e di immaginarmi una vita alternativa, imbozzolarmi in un calore che non sia il mio, rinchiudermi in un altro utero, illudendomi di trovare qualcosa che non sia il me stesso di sempre. Ma soprattutto mi piacciono le case come questa, in cui sono sicuro che, specie la sera, resterei alla finestra a guardare rapito le vite altrui che scorrono nella strada lì sotto. Vivevo in una casa così, su una strada altrettanto trafficata, poi mi sono trasferito e ho dovuto rinunciare a questo sguardo dall'alto - quasi da aquila spennata e senza pretese - sulle umane cose. Seduto sul divano lo sento parlare della Francia, è un torrente in piena e mi racconta cose del sistema scolastico francese che non sospettavo nemmeno, mentre una delle sue gatte si è intrufolata sotto la coperta e mi si è accucciata accanto ai piedi: mi diverto a palpeggiarla un po' e rimedio un'innocente unghiata su un dito. Avi ha due gatte: una è sveglia e per nulla timida, l'altra sta dormendo nascosta a letto, protetta dalle coperte. Alla prima scatto una fotografia che non so ancora come sarà. Il guaio è che dopo nemmeno un'ora sento qualcosa che mi sta scartavetrando la trachea, avverto la solita pressione che mi comprime lo spazio polmonare e mi rende ardua la respirazoine, sento il solito impulso a tossire per espettorare qualcosa che non è null'altro se non la mia inveterata e inestirpabile allergia ai gatti. Sono costretto a fuggire. Scendiamo insieme, parlando di altre cose che la decenza m'impedisce di riferire su queste pagine tanto pubbliche, ci salutiamo e io inforco la bicicletta per andare ad altri, meno piacevoli, appuntamenti.