Pubblicato nella DDR nel 1982, L’amico estraneo di Christoph Hein è anche il suo primo romanzo, oltre che il primo libro che io letto di questo autore. La vicenda narrata, benché dal sapore squisitamente berlinese – e mi riferisco qui a "Berlin, Hauptstadt der DDR", Berlino capitale della Repubblica Democratica tedesca, come veniva insistentemente definita a quei tempi –, ha però un valore universale: Hein parla dei rapporti tra gli uomini nelle metropoli e nelle civiltà industriali moderne. La protagonista, Claudia, è un medico che vive una vita ormai priva di stimoli: si direbbe il personaggio alienato per eccellenza. Non ha rapporti significativi con il suo prossimo, non prova empatia per nessuno e, anzi, per impedire di essere ferita mantiene le distanze con tutto e tutti, a tal punto che questa distanza s’instaura anche tra lei e i suoi stessi sentimenti e le sue stesse emozioni. La sua "anima" – se ha un senso usare questo termine oggi – è anestetizzata. Hein sottolineò, in un’intervista, che il racconto vive di un doppio testo: da un lato la protagonista asserisce di stare bene e di non avere bisogno di nulla (il testo esplicito), ma, in realtà, quanto più lo ripete, tanto più dura si manifesta la verità che vi soggiace (il sottotesto, per così dire), cioè che Claudia sta male, malissimo. L’amico estraneo – un apparente ossimoro – di Claudia è Henry, un uomo con cui, per qualche tempo, la donna intrattiene, con un certo distacco, una relazione amorosa che, col senno di poi, potremmo affermare essere del tipo di quelle descritte da Zygmunt Bauman in Amore Liquido. Il romanzo si apre con il funerale dell’uomo e poi procede, a ritroso, raccontando la storia di questo rapporto, che è anche una discesa nell’inferno dell’indifferenza interiore della dottoressa, dove sfilano tutti i non-rapporti che caratterizzano la sua esistenza: quello con le amiche, quello con i genitori. L’unico rapporto sincero di Claudia risale alla sua infanzia ed è quello con Katharina. Katharina l’emarginata, perché religiosa in uno stato dichiaratamente ateo e, per questo motivo, osteggiata, finché l’amicizia delle due ragazze, sottoposta alle pressioni esterne, si trasforma in profonda inimicizia. (Il motivo dell’esclusione, del resto, è una costante nell’opera narrativa di Christoph Hein: lo sarà anche in La fine di Horn, in Il suonatore di tango, e nel recentissimo Landnahme, di cui ho già scritto). Il risultato è questo: "Oggi non saprei nemmeno dire che cosa sia un amico. E’ probabile che io non sia nemmeno più in grado o capace di avere fiducia in un altro essere umano, il che dovrebbe essere il presupposto di questa cosa particolare che è l’amicizia" *. L’insegnamento – in senso negativo – che Claudia riceve è quindi quello del silenzio e della rimozione. Non pensare, non ricordare. Hein rende la vicenda della protagonista esemplare: come avviene per l’individuo, così avviene anche per la società. La storia privata si svolge sullo sfondo della Storia collettiva. In un flashback, la protagonista ricorda gli eventi del 1953 nella Germania orientale, e l’unico carro armato sovietico che, un giorno, arriva nella sua cittadina. Le domande della ragazza si scontrano con il mutismo: la lezione è impartita. Non bisogna porre domande scomode, non bisogna indagare, non bisogna scendere in profondità. "Sentivo la paura che gli adulti avevano a parlare tra di loro. E io tacevo, affinché loro non dovessero parlare" *.
L’amico estraneo è scritto in uno stile laconico, nel tedesco semplice ed elegante che caratterizza tutti i lavori di Christoph Hein, che non ama arzigogolare e si pone davanti alla sua materia come un cronista – più volte si è lui stesso definito "cronista sine ira et studio" – e lascia che sia la nudità della materia trattata a rivelarsi nella sua potenza. Questo romanzo, in particolare, investe il lettore con un senso di angoscia, costringendolo a interrogarsi e a chiedersi se questo precetto della distanza e dell’oblio non agiscano anche nella sua vita. La protagonista ritiene di avere eretto una barriera impenetrabile: forse è vero, così vero che non solo non vi penetra il dolore – nonostante questo ottundimento delle emozioni sia, a sua volta, una forma di dolore – ma nemmeno quanto di dolce può offrire l’esistenza. "La mia pelle impermeabile è la mia salda fortezza" *, dice di sé, parafrasando le parole di Lutero, ma in realtà non ci crede e ha bisogno di continuare a ripeterselo.
Gli oggetti della vita di Claudia ricordano da vicino anche i nostri. Abita, giusto per fare un esempio, in un monolocale, in un "Plattenbau", un palazzone di periferia. A leggere le descrizioni della vita, vediamo che, per le cose essenziali, non c’è grande differenza tra le società a "socialismo reale" e quelle capitaliste: qui Hein aveva visto lontano e, oggi, fallita l’esperienza del socialismo reale in Europa, possiamo ben dire che in entrambi i modelli a regnare erano l’industrialismo e la corsa alla produzione. L’unica differenza era nell’efficienza della produzione: se si ritiene che scopo principale dell’esistenza sia consumare quanto più possibile e rinnovare in continuazione i prodotti che si usano, allora l’economia di mercato presenta indubbi vantaggi, almeno a chi può permetterselo. Ma l’entropia provocata e l’alienazione sugli esseri umani non erano poi molto diverse.
Ho voluto scrivere qualcosa su questo primo romanzo di Hein anche perché pochi giorni fa ho scoperto un weblog in lingua tedesca, dedicato alla Germania Orientale e all’ "eredità" – culturale e sociale – della DDR. Si tratta per lo più di una dettagliata rassegna stampa, con articoli da vari giornali e riviste, che hanno come unico tema la Germania Orientale. Dal post del 14 ottobre – che riporta un articolo della Berliner Zeitung – vengo a sapere che Christoph Hein è stato nominato, a partire dal 2006, direttore del Deutsches Theater di Berlino – uno dei massimi teatri della città, insieme al Berliner Ensemble e alla Volksbühne. Christoph Hein non è solo un romanziere, ma è anche un drammaturgo e ha, a sua volta, scritto parecchie opere teatrali. Questo serve a dire che non è a digiuno di teatro. La Berliner Zeitung (di Berlino Est, occorre sottolinearlo) riporta le opinioni scandalizzate di svariati giornali e giornalisti della Germania Occidentale, tra cui la Süddeutsche Zeitung, il Tagesspiegel e la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Secondo loro si tratterebbe della solita operazione di "Ostalgie", come viene definita l’estetizzante nostalgia per la vecchia Germania orientale. In particolare la FAZ definisce la nomina di Hein "una catastrofe abbastanza prevedibile". Pare insomma si siano lanciati in una gara che consiste nello spalare la maggior quantità di merda possibile addosso a Hein. Io credo che queste critiche rivelino – come tanti altri fatti recenti – la tendenza (non oso dire "il proposito") di umiliare sempre di più i cittadini della ex-DDR, proclamando ancora una volta la superiorità dei tedeschi occidentali. Anche per questo ho voluto, ancora una volta, ricordare uno dei maggiori scrittori oggi attivi in Germania (e scrivo intenzionalmente Germania e non "Ex Germania Est").
(* Le citazioni da L'amico estraneo sono tradotte da me, perché non ho sotto mano la traduzione ufficiale di Fabrizio Cambi pubblicata da e/o, ma solo l'edizione tedesca di Luchterhand)
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