Ci sono autori che ci accompagnano nel tempo: magari non sono rumorosi e non s'impongono all'attenzione come tanti altri, perché non si rivolgono agli istinti più immediati dei lettori, ma ogni volta che si cerca il percorso di un'intelligenza o una parola chiara su quello che accade nel mondo, loro sono lì, pronti a rispondere. Tra questi scrittori annovero senz'altro il tedesco Christoph Hein, di cui nei giorni scorsi ho pubblicato qualche breve stralcio tratto dal volume di saggi Aber der Narr will nicht (Ma il folle non vuole), uscito nelle librerie germaniche un paio di mesi fa. In Italia Christoph Hein non ha mai avuto il successo che meritava, nonostante siano stati tradotti e pubblicati quasi tutti i suoi romanzi, tranne l'ultimo, di cui scrivo qui sotto, e, chissà perché, Das Napoleon-Spiel, il primo pubblicato dopo l'unificazione tedesca (perché Hein, bisogna dirlo per chi non lo conosce, era uno dei rappresentanti della tanto vituperata letteratura della DDR). Quando, intorno al '94 (non ricordo la data esatta), venne a Milano a tenere una conferenza al Piccolo, organizzata dal Goethe-Institut, fummo in ben pochi ad assistervi (a differenza di quando venne Christa Wolf, salutata da così tanto pubblico che molti nemmeno riuscirono a entrare in sala e assistettero alla conferenza proiettata su alcuni schermi nel foyer). Perché dunque così poco successo? Forse - cerco di darmi una spiegazione - perché Christoph Hein è uno dei pochi illuministi rimasti: una rarità, soprattutto in Germania, la patria per eccellenza del romanticismo e delle grandi esagitazioni emotive. Non solo è un illuminista, ma è anche un umanista che crede nel valore della riflessione e della critica: me ne sono accorto di nuovo leggendo i saggi che compongono Aber der Narr will nicht, scritti in un tedesco limpido e con un linguaggio così esatto - privo di ogni ridondanza e di ogni compiacimento inutilmente estetizzante - da essere un vero godimento per l'intelligenza. Ma non tutti, è evidente, vogliono che ci si rivolga alla loro intelligenza: lo shock emotivo è sempre più facile e l'adrenalina un imperativo sociale, ormai. Questo volume raccoglie gli interventi degli ultimi dieci anni ed è di grande valore per chi già conosce Christoph Hein e vi ritroverà tutti i suoi temi e il suo pacato raisonner (pacato sì, ma anche sarcastico e amaro, come ho già dimostrato nei due brani da me scelti e tradotti). Ma per chi non lo conosce ancora? Per tutti gli altri ci sono sempre i suoi testi narrativi, pubblicati dalla mai abbastanza lodata casa editrice e/o di Roma, che tanto si è spesa, in passato, per fare conoscere i maggiori autori dell'Europa orientale quando ancora esisteva la cortina di ferro. Potrei dilungarmi molto su Christoph Hein perché, confesso, è l'autore che scelsi quando scrissi la mia tesi di laurea in letteratura tedesca - ormai secoli fa - concentrandomi su due aspetti della sua opera: la memoria e l'oblio. La memoria che consente di ricostruire il tessuto della vita e dei destini individuali, ma, allo stesso tempo, anche della storia di un paese e di una società, contrapponendosi alla falsificazione e all'oblio che invece fa precipitare tutto nell'insensatezza. E a questi due temi Hein è, in qualche modo, rimasto fedele nel tempo. L'ultimo romanzo, uscito all'inizio di quest'anno, è Landnahme (Insediamento). Va detto subito che non è un libro noioso, nel caso che qualcuno, pensando che si tratti di un autore alto (cioè di un autore che non si limita a guardarsi l'ombelico o a dedicarsi a una scrittura prostitutiva, destinata solo a compiacere e a titillare i lettori meno esigenti), lo ritenga anche fastidioso e molesto, devo subito smentirlo. Qui ci sono oltre trecentocinquanta pagine scritte in modo molto fitto che si fanno leggere come un appassionato resoconto di una storia individuale che diventa, nello stesso tempo, la storia di una nazione - la Germania - e di uno Stato - la Repubblica Democratica Tedesca. Come gli eventi della Storia (quella grande, quella che finisce nei manuali) s'inseriscono nelle storie delle persone è un punto sempre centrale nella narrativa di Hein. Qui il protagonista "assente" è Bernhard Haber, uno sfollato che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, approda con i suoi genitori (il padre è, massimo della sventura, un falegname a cui è stato amputato un braccio) da Breslau, un tempo Germania e ora Wroclaw in Polonia, in una cittadina di provincia della Sassonia. Lì lui e quelli come lui sono i "diversi", gli intrusi odiati da tutti gli altri che, per il solo fatto di essere nati in un certo luogo e di viverci da più generazioni, credono di avere più diritti, incluso quello di opprimere e umiliare quelli come Bernhard: esemplificativi sono alcuni episodi, come quando al solitario e taciturno protagonista viene crudelmente ucciso il cane, che è il suo unico amico, oppure al padre viene incendiata la falegnameria, che comunque - per via del suo unico braccio - faceva ben poca concorrenza alle altre del paese. La narrazione di Christoph Hein segue tutta la vita di Bernhard Haber: dagli anni della scuola fino agli anni della maturità, quando, in una sorta di nemesi, il suo personaggio riesce finalmente a imporsi e a fare carriera, riscattando tanti anni di esclusione sociale. Sullo sfondo - ma sbiaditi nella loro declinazione provinciale - ci sono gli eventi politici che segnano quegli anni nella Germania Orientale: la collettivizzazione forzata dell'agricoltura, a cui Haber partecipa dopo essersi innamorato di una ragazza che fa l' "agitatrice" nella SED, il partito socialista unificato della DDR, andando dai vari contadini del luogo per "convincerli" a cedere le loro fattorie alla "repubblica dei contadini e degli operai", il finto lavoro come apicoltore che gli permette di coprire un'attività illecita di contrabbando di esseri umani fino alla frontiera con Berlino Ovest e, infine, i movimenti popolari del 1989 che portano alla dissoluzione della Germania socialista. Dicevo che il protagonista è "assente" perché la sua vita è rispecchiata e narrata da altri personaggi che parlano in prima persona di sé, raccontando anche la storia di Bernhard Haber per quanto questa storia riguarda anche loro. La vicenda di Bernhard Haber emerge quindi attraverso questi frammenti, che vanno ricomposti per formare un quadro unitario, ma incompleto della sua realtà. La storia è un processo di costruzione e la memoria è soggetta a una continua negoziazione. Chi conosce Christoph Hein avrà già capito a quale altro suo romanzo si ricollega, idealmente, Landnahme. Mi riferisco a La fine di Horn - disponibile anche in italiano -, ugualmente ambientato in un opprimente paese della provincia tedesco-orientale degli anni Cinquanta, con un protagonista che viene mandato, quasi per punizione, dalle autorità a fare il conservatore nel piccolo museo locale e che finirà per suicidarsi, anch'egli vittima di un mondo che non accetta la diversità. E anche in La fine di Horn sono le voci degli abitanti che, stavolta alternandosi - in una forma più complessa rispetto a Landnahme -, ricostruiscono la vicenda. Una vicenda - quella dell'esclusione delle minoranze - che ha narrativamente i suoi correlati oggettivi negli episodi del circo girovago che, unico svago, arriva nel paese e attira le attenzioni dei bambini e nella vicenda di Marlene, la bambina malata di mente. (Detto per inciso, La fine di Horn gode di un primato assoluto: è l'unico romanzo pubblicato nella DDR senza l'approvazione della censura, anzi, scrive Hein in un saggio di Aber der Narr will nicht, "contro la volontà esplicita delle autorità censorie" e grazie al coraggio dell'editore che lo stampò nonostante fosse stato convocato al Comitato centrale della SED: "Di questa 'conversazione' al Comitato Centrale della SED fino a oggi non mi ha raccontato i dettagli. Si è limitato a dire che in vita sua non è mai stato insultato in modo tanto volgare", scrive Hein). Se volete leggere qualcosa di veramente bello - nel senso meno banale del termine -, pescate dunque uno qualsiasi dei romanzi di Christoph Hein. Oltre a quelli citati, ci sono in italiano anche L'amico estraneo (che, oltre a essere la cronaca spassionata del naufragio emotivo della protagonista Claudia, è anche la critica impietosa dello stato delle nostre civiltà cosiddette progredite: non c'è molta differenza tra la Berlino Est del 1980 e le nostre metropoli oggi), Il suonatore di tango (storia quasi farsesca di una persecuzione nei confronti di Dallow che finisce in carcere solo per avere sostituito, all'ultimo momento, uno studente al pianoforte in un pezzo di cabaret), Fin da principio (un breve e intenso romanzo di formazione ai tempi della DDR) o Willenbrock (la vita difficile di un venditore di auto usate a Berlino, a contatto con la mafia russa e costretto a uccidere suo malgrado).