Qualche tempo fa, A. mi ha dato da leggere un racconto di Jorge Luis Borges – un racconto che avevo dimenticato: Funes, o della memoria. Ireneo Funes, il giovane protagonista amico dell’io narrante, si ritrova con una memoria straordinaria, e per straordinaria s’intende assolutamente sovrumana, dopo che un cavallo l’ha travolto, lasciandolo paralizzato. L’io narrante, dovendo ripartire per Buenos Aires, va a trovarlo e lo trova immerso nella semioscurità. Qualche giorno prima gli ha prestato la Naturalis Historia di Plinio che lui stesso sta studiando, insieme con un dizionario, dietro insistenza di Ireneo, che vuole leggerla, pur non sapendo il latino. La prima sorpresa, per l’io narrante, è sentire l’amico che gli cita a memoria pagine e pagine dell’opera di Plinio. Che cos’è successo? In seguito all’incidente, Funes ha sviluppato una memoria straordinaria, un cervello che si focalizza sui singoli dettagli, una mente realmente analitica: "Noi, in un’occhiata, percepiamo: tre bicchieri su una tavola. Funes: tutti i tralci, i grappoli e gli acini di una pergola. (…) Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche, ecc. Poteva ricostruire tutti i sogni dei suoi sonni, tutte le immagini dei suoi dormiveglia". Oltre a una memoria che non gli consente di dimenticare nulla, Ireneo Funes sviluppa un sistema di numerazione assurdo, privo di logica, ma alla cui base c’è solo il presupposto di ricordare un nome distinto per ogni numero, un po’, scrive Borges, come Locke che "nel secolo XVII, propose (e rifiutò) un idioma impossibile in cui ogni singola cosa, ogni pietra, ogni uccello e ogni ramo avesse un nome proprio" e si propone di catalogare tutti i ricordi della sua vita – migliaia e migliaia – assegnando un numero a ciascuno di essi. Funes è dunque un essere benedetto o baciato dagli dèi per questa sua facoltà? La sensazione che si trasmette all’io narrante – e al lettore, di riflesso – è di angoscia. Inoltre, sottolinea Borges, "gli era molto difficile dormire. Dormire è distrarsi dal mondo". La memoria del protagonista, alla fine, gli impedisce di vivere, perché la vita dipende anche dalla capacità di dimenticare e di lasciarsi alle spalle inutile zavorra. Quello che colpisce, nella storia insolita di Funes, è l’associazione memoria-dolore. Ireneo, pur giovanissimo (l’autore ci dice che muore a ventun anni, di una congestione polmone), soffre per l’invasione dei ricordi, che lo rendono paradossalmente vecchissimo, e lo paralizzano: qui la paralisi corporea diventa davvero una metafora di una paralisi esistenziale.
Ciò che più mi interessa di questo racconto è quindi l’associazione memoria-dolore. Ricordare – e ricordare tutto – è soffrire. Una certa dose di oblio non può che addolcire la nostra esistenza, mentre fissarsi sul passato è una ricetta sicura per attraversare la vita con pesantezza e, spesso, a mascelle serrate dall’incarognimento.
Questo vale non solo per gli individui, ma anche, in parte, per le società e gli stati, temo. Gli apologeti della memoria a ogni costo si rifanno vivi a raccomandare il valore della memoria – e soprattutto della memoria del dolore, delle oppressioni e delle persecuzioni – in occasione di celebrazioni fissate dal calendario. A parte il fatto che, in molti casi, si tratta per loro di recitare semplicemente un copione e di mostrare un’adesione per lo più esteriore, per poi passare ad altro e non ricordare mai davvero, dubito sinceramente che la memoria a ogni costo abbia un valore terapeutico e, soprattutto, preventivo (secondo il motto: "affinché tutto questo non accada mai più in futuro"). E’ quest’ultima parte che mi lascia perplesso: la storia degli uomini e delle nazioni si ripete più o meno sempre uguale, con gli stessi errori (la dislocazione è, per lo più, solo geografica), e a nulla serve rammentare ciò che è già stato o ciò che è avvenuto, in maniera simile in passato. La storia non è un accumulo di sapere che, derivato dagli errori di un tempo ormai trascorso, serva da guida per il futuro. Ci illudiamo che sia così, ci piace pensare che potrebbe essere così, ma la storia stessa ci ha dimostrato il contrario. L’angelus novus di Benjamin torce sì la testa all’indietro e vede un mucchio di macerie, ma il vedere e custodire la memoria di quel mucchio di macerie non impedisce agli scherani della storia di preparare le macerie del futuro.
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